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Cibi con etichette chiare. Al via le nuove sanzioni. In vigore mercoledì il decreto che deriva dalle norme Ue. Penalità da 500 a 40mila euro per chi non è in regola

Da mercoledì 9 maggio scattano le nuove sanzioni per le etichette irregolari degli alimenti. Entra infatti in vigore il decreto legislativo 231 del 15 dicembre 2017 che “dà attuazione” alla disciplina Ue di tutela dei consumatori. Le penalità per gli indadempienti varieranno da un minimo di 500 euro a un massimo di 40mila. Definire, ad esempio, un prodotto come «vegano» o «vegetariano» quando non ne ha le caratteristiche costituisce una violazione delle pratiche leali d’informazione che può costare da 3mila a 24mila euro. Ma andiamo con ordine.

DECRETO LEGISLATIVO 15 dicembre 2017, n. 231 

Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 «Legge di delegazione europea 2015». (18G00023) (GU Serie Generale n.32 del 08-02-2018)

Entrata in vigore del provvedimento: 09/05/2018

L’obiettivo europeo 

Il regolamento Ue 1169/2011 che dà origine alla normativa italiana è stato emanato per garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti, in modo da consentire scelte consapevoli , prevenendo qualunque pratica suscettibile di indurre in errore i cittadini. Sono state così definite a livello europeo le informazioni che devono obbligatoriamente comparire sull’etichetta di un prodotto alimentare preimballato, come ad esempio, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza dell’alimento, la dichiarazione nutrizionale o l’elenco degli ingredienti. 

Le disposizioni italiane

Il regolamento europeo ha però rimesso ai singoli Stati l’onere di dettare l’apparato sanzionatorio nazionale per reprimere gli illeciti in questa materia.  Da qui si arriva al decreto legislativo italiano 231/2017, che essenzialmente interviene in due distinti ambiti: da un lato, definisce le sanzioni per le violazioni del regolamento Ue 1169/2011, disponendo le pene pecuniarie che variano, a seconda della gravità delle singole infrazioni, raggiungendo – come detto – un tetto massimo di 40mila euro; in secondo luogo adegua la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento Ue, disciplinando aspetti non armonizzati a livello europeo, come, ad esempio, la vendita dei prodotti non preimballati, l’indicazione del lotto e la vendita in distributori automatici di alimenti non preimballati, prevedendo, al contempo, le sanzioni correlate.

Il regolamento europeo, inoltre, dispone che sugli alimenti vadano indicate obbligatoriamente le sostanze che possono provocare allergie o intolleranze e detta norme relative ai requisiti di etichettatura di queste sostanze: ad esempio, la loro messa in evidenza rispetto ad altri ingredienti. In questo caso, la mancata apposizione dell’indicazione obbligatoria viene punita con una sanzione amministrativa da 5mila a 40mila euro.

Le eccezioni

Il legislatore italiano, comunque, ha predisposto una “clausola di salvaguardia” e alcune norme mitigatrici di questo panorama sanzionatorio. Fa salvo, tra l’altro, quanto prodotto entro il 9 maggio: prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo, gli alimenti etichettati o immessi sul mercato che non siano conformi allo stesso decreto nazionale possono essere commercializzati fino all’esaurimento delle scorte.

Niente sanzioni, poi, ma solo una diffida a provvedere entro 20 giorni alla regolarizzazione della situazione non a norma, nel caso in cui vengano contestate per la prima volta alcune infrazioni consistenti in errori e omissioni formali o alcune violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili.

Le penalità, infine, non si applicano in due casi specifici: 

. per le forniture di alimenti effettuate a favore di organizzazioni senza scopo di lucro che le distribuiscono a persone indigenti solo quando le etichette presentano irregolarità diverse da quelle riconducibili alle informazioni sulla data di scadenza o alle sostanze che possono provocare allergie o intolleranze;
. nel caso di alimenti immessi sul mercato corredati da adeguata rettifica scritta delle informazioni non conformi alla legge.

Le sanzioni vengono irrogate dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari), restando comunque ferme le competenze spettanti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per le violazioni della normativa sulle pratiche commerciali scorrette.

Menu con alert sugli allergeni

Le altre prescrizioni. Per ristoranti, scuole, mense e ospedali
Cambia il menu al ristorante, nelle mense e anche nelle scuole e negli ospedali. Deve dare spazio, infatti, a un “alert” sulla presenza di allergeni, d’obbligo prima di servire qualsiasi alimento. L’indicazione deve essere scritta. E se non sul menu, occorre che sia in un registro, su un cartello o un altro sistema equivalente, anche digitale, ben in vista. In alternativa, vale l’avviso della possibile presenza di queste sostanze con l’invito a chiedere informazioni al personale. E gli stessi obblighi valgono per gli alimenti decongelati.
Anche questo è uno degli effetti del Dlgs 231/2017 che – a tutela dei consumatori – prevede una serie di obblighi per la fornitura di alimenti. Tra gli altri, c’è quello dell’indicazione del lotto al quale l’alimento appartiene, che va determinato dal produttore, dal confezionatore del prodotto o dal primo venditore Ue e va identificato con una sigla che inizia con la lettera «L», che deve figurare sia sui prodotti preimballati, sia su quelli non preimballati (si può indicare nei documenti commerciali di vendita).
Per gli alimenti messi in vendita tramite distributori automatici (non preimballati) – si pensi alle macchine che erogano latte crudo – vanno indicati in italiano la denominazione dell’alimento, l’elenco degli ingredienti, qualsiasi sostanza o prodotto che provochi allergie o intolleranze, nonché il nome o la ragione sociale o il marchio e la sede dell’impresa che gestisce l’impianto.
Regole precise sono disposte per gli alimenti “sfusi”, tipo pop corn acquistati al cinema; per quelli imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore, come il prosciutto affettato al momento; per i prodotti preimballati per la vendita diretta (un formaggio a porzioni in vendita nei supermercati) o venduti previo frazionamento anche se con un involucro protettivo (conserve vegetali, offerte in grandi confezioni).
Ai recipienti che contengono questi alimenti per la vendita va applicato un cartello con queste indicazioni: 1)la denominazione dell’alimento; 2) la lista degli ingredienti; 3) le sostanze o i prodotti che possono provocare allergie o intolleranze; 4) le modalità di conservazione per i prodotti alimentari rapidamente deperibili; 3) la data di scadenza per paste fresche e paste fresche con ripieno; 4) il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande con tenore di alcol superiore a 1,2% in volume; 5) la percentuale di glassatura (tara) dei prodotti congelati glassati; 6) la designazione «decongelato»; 7) il nome o la ragione sociale o il marchio depositato, l’indirizzo dell’Osa e il lotto.

Il Sole 24 Ore – 7 maggio 2018

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