In base ad una ricerca appena pubblicata su Food Quality and Preferences, gli alimenti percepiti come sani (ad esempio, quelli con indicazioni nutrizionali e salutistiche) potrebbero avere un ulteriore vantaggio: ingannare addirittura i sensi dei consumatori, sembrando più gustosi e palatabili della realtà.
Tale fenomeno sarebbe dovuto a qualcosa che gli esperti di marketing sensoriale conoscono bene, e ciò un paio di inganni cui la nostra mente è prona: l’effetto promessa (o “credence”): sapendo che un prodotto ha certi requisiti, tendiamo a inferirne caratteristiche positive in ogni caso (e a non realizzare durante la prova pratica, se tali requisiti non sono poi così buoni). Da un punto di vista strettamente medico, questo è stato diversamente chiamato “effetto placebo”, anche se il meccanismo retrostante è lo stesso. Ma vi è di più: si tratte dell’’effetto “alone”: le inferenze riguardano aspetti anche non strettamente collegate. E questo dimostra come cibi venduti come “sani”, vengano percepiti poi anche come “buoni”.
La ricerca sui cibi gustosi però è andata oltre. In base ad uno studio di (Oxford Univesity), mangiare usando posate di acciaio rende i cibi più saporiti, rispetto all’uso di stoviglie di plastica. Altre ricerche (Cornell University) hanno sottolineato il legame tra “nomi” delle pietanze e migliore percezione gustativa poi (e molti ristoratori, a giudicare dalla fantasia usata nei menù, ne sembrano perlomeno consapevoli).
Differenze culturali
La ricerca però sottolinea un aspetto di immediato interesse per noi italiani: non è vero che il cibo meno sano sia percepito come più gustoso dappertutto, come ipotizzato da ricerche precedenti. Tale “legge”, che vale per i consumatori americani, è stata dimostrata non valida per i consumatori francesi, che hanno un notevole repertorio gastronomico. In tale caso, alimenti più sani sono collegati spontaneamente al maggiore gusto e caratteristiche organolettiche.
Probabilmente anche per l’Italia tale postulato potrebbe rimanere valido: la differenza potrebbe farla proprio la cultura alimentare e l’abitudine ad avere alimenti che nello stesso tempo sono sani e gustosi.
Ricerca sui consumatori, la legislazione la terrà presente?
Tale ricerca getta poi una nuova luce sul percorso attuale a livello normativo e di policy (controlli) circa i vanti (claims) nutrizionali e salutistici. Di fatto, si dovrà essere consapevoli che la mera presenza di un claim produce quello che la legge si premurava non avvenisse: cioè, incentivare il consumo eccessivo dell’alimento, a discapito di altri (aspetto di concorrenza) e a discapito soprattutto della dieta complessiva (aspetto di salute pubblica), che deve essere “varia ed equilibrata”, in base al Reg. 1924/2006.
Questo aspetto mostra come la ricerca interpreti aspetti normativi in modo nuovo, e che i consumatori agiscono e riflettono secondo modalità diverse e più complesse rispetto a quelle di una conformità legale di messaggi in etichetta. Una minaccia in più insomma rispetto a quelle che già spontaneamente stanno venendo dai produttori e in certi casi dai regolatori. Non a caso Basil Mathoiudakis della DG Salute e Consumatori della Commissione Europea ha puntato il dito in questi giorni sulle imprese che –approfittando di vuoti normativi o semplicemente aggirando la legge (ad esempio, con indicazioni “al limite” della legalità), minacciano la sana concorrenza tra imprese alimentari e si procurano vantaggi ingiustificati, e talvolta di difficile persecuzione.
In Italia oggi l’Antitrust si occupa delle sanzioni del “quadro claims”. Non è però ancora chiaro se e cosa cambierà in seguito alla ricezione legale da parte della Commissione della lista ufficiale delle indicazioni approvate (Reg. (UE) 432/2012).
sicurezzaalimentare.it – 1 febbraio 2013