«I livelli di contaminazione riscontrati non costituiscono un rischio per la salute pubblica in considerazione dei limitati consumi di carne di cinghiale e di selvaggina». Così il ministro della Salute, Renato Balduzzi, rassicura i cittadini sugli effetti della contaminazione con cesio 137 di alcuni campioni di cinghiali della Valsesia. Si procede anche all’abbattimento degli animali. Il 13 marzo pronta una relazione preliminare. Ieri si è tenuta la prima riunione operativa, durata due ore, tra i tecnici del ministero della Salute e i tecnici della Regione Piemonte, alla presenza del comandante dei Carabinieri del Nas, generale Cosimo Piccinno, e del comandante dei Carabinieri del Noe, generale Vincenzo Paticchio. Verrà lanciata una campagna di controlli estesa a tutto l’arco alpino.
Non solo Valsesia, non solo Piemonte. «È doveroso iniziare uno screening di tutti i cinghiali presenti nelle vallate del Nord Italia. Sarà un lavoro lungo ma necessario: non possiamo pensare che gli unici casi si siano verificati in una porzione così minuscola di territorio. Bisogna approfondire. E pensare anche ad altre specie selvatiche come i caprioli, che sono in rapida diffusione».
È quanto ha detto il responsabile dei laboratori di zooprofilassi di Vercelli, Novara, Asti e Alessandria, Fulvio Brusa, che ieri ha partecipato a Torino alla riunione di emergenza indetta dal ministro della Salute, Renato Balduzzi in video conferenza da Roma, con i carabinieri di Nas e Noe.
I primi, questi, che grazie a un laboratorio mobile per il rilevamento di sostanze radioattive partiranno alla volta di un minuscolo perimetro di valle, in Piemonte orientale, per carpire quanto più potranno del «mistero cesio 137». Mentre il Noe procederà al campionamento di terra ed acqua, il Nas si occuperà delle matrici alimentari che verranno analizzate nei laboratori degli istituti nazionali: selvaggina, frutti di bosco, funghi, latte, formaggi. E da lì l’operazione cinghiali (e tutto ciò che ne consegue) si dipanerà in altre province, in altre regioni.
Anche in Lombardia, dove pure l’assessore regionale all’Agricoltura, Giuseppe Elias, ieri mattina era intervenuto per sottolineare che «nessun livello anomalo di radioattività è stato finora rilevato. Ma non abbassiamo la guardia». L’Arpa del Piemonte ha assicurato che sarà in prima linea: effettuerà «uno specifico monitoraggio radiometrico» con particolare riferimento ai suoli e ai vegetali.
Della riunione di ieri è stato informato anche il procuratore di Vercelli Paolo Tamponi che aveva già aperto un fascicolo contro ignoti per avvelenamento di acque e di sostanze alimentari. Il pm vercellese incontrerà gli ufficiali dei carabinieri il 13 marzo. Hanno collaborato le autorità regionali, fornendo la mappa precisa dei luoghi di tutti gli abbattimenti: di ogni animale adesso si conosce l’età e il peso
Le autorità regionali piemontesi hanno fornito la mappa con le coordinate precise dei luoghi di tutti gli abbattimenti dei cinghiali risultati contaminati. Si tratta di capi abbattuti dai cacciatori tra il 27 settembre 2012 e il 18 novembre 2012. Di ogni animale si conosce l’età e il peso. In allegato la cartina con i luoghi degli abbattimenti.
La legenda per leggere i dati è la seguente:
colore bianco 0-600 becquerel/kg
colore blu 600-1000 becquerel/kg
colore giallo 1000-3000 becquerel/kg
colore rosso >3000 becquerel/kg.
La soglia ammessa è 600b/kg
Nel corso della riunione i tecnici dell’Arpa e dell’IZS di Torino hanno ribadito che la radioattività è stata riscontrata in 27 capi ed è stata finora confermata dalle analisi dell’Izs di Foggia, Centro di referenza nazionale per la ricerca della radioattività nel settore zootecnico e veterinario, a cui sono stati inviati finora nove campioni.
«Nel quadriennio 2006-2010 – riferisce il ministero della Salute -, sono stati sottoposti a esami di ricerca del Cesio 137 latte, formaggi, acqua, terra e fieno riscontrando livelli non trascurabili di radioattività, anche se ampiamente al di sotto dei limiti di legge, con eccezione dei campioni di terra, che hanno evidenziato picchi elevati a seconda dei punti di prelievo, confermando la contaminazione a ‘macchia di leopardo’ già osservata in altre zone d’Italia al momento dell’incidente di Chernobyl. I valori dei campioni prelevati nel 2011 – solo per latte e formaggi – erano nella norma».
L’esito della riunione è stato riferito al dottor Paolo Tamponi – Procuratore della Repubblica di Vercelli – che aveva già aperto un fascicolo processuale contro ignoti per l’articolo 439 c.p. (Avvelenamento di acque e di sostanze alimentari). “Una relazione preliminare – fa sapere il ministero della Salute – sarà prospettata al Procuratore il 13 marzo a Vercelli nel corso di incontro con ufficiali del Nas e del Noe”.
I cinghiali contaminati da Chernobyl
di Andrea Pasqualetto — La nube radioattiva che sale da Chernobyl e, sospinta dai venti di Nord Est, attraversa minacciosa i cieli dell’Ungheria, dell’Austria e giunge in Italia fino al Monte Rosa e alla Valsesia, dove fatalmente incrocia alcuni intensi acquazzoni che la dissolvono portando a terra il suo pericolosissimo carico: cesio, iodio, tutti elementi «nucleari», nocivi.
Il responsabile del dipartimento radiazioni dell’Agenzia regionale protezione ambiente (Arpa) del Piemonte, il fisico Giovanni d’Amore, spiega così la strana vicenda dei cinghiali contaminati della Valsesia. Un allarme che ha portato la Procura di Vercelli ad aprire un fascicolo per avvelenamento di acque e sostanze alimentari, mentre a Torino si riunivano urgentemente i carabinieri dei Nas, dei Noe, i tecnici dell’Arpa, della Regione, del ministero della Salute e gli assessori competenti. Hanno deciso un ampio monitoraggio della zona, con prelievi anche su altri animali, sul terreno e sui vegetali e hanno sospeso la caccia di contenimento nei boschi interessati. Nei tessuti dei 27 capi analizzati dall’Istituto zooprofilattico di Torino le tracce di «Cesio 137» sono infatti dieci volte superiori al livello di guardia. «E arrivano con ogni probabilità dalla centrale di Chernobyl, esplosa nell’aprile del 1986», ragguaglia d’Amore.
Domanda: possibile una simile contaminazione a distanza di 27 anni e quasi tremila chilometri dal disastro nucleare? «Lo iodio 131 non presenta problemi perché decade in sei giorni, il Cesio no: ci vogliono 30 anni. La radioattività si accumula in varie sostanze come funghi, bacche, radici, e viene assorbita dalla selvaggina. Il cinghiale si nutre di tutto ciò». Esclude che la causa sia da ricercarsi nella vicinanza dei siti nucleari dismessi di Trino e Saluggia o nelle nubi radioattive di altri, più vicini, incidenti nucleari, in Francia e Slovenia. «In questi casi il livello di radioattività è stato trascurabile per l’Italia. Quanto a Trino e Saluggia non ci risultano rilasci di elementi radioattivi».
Fin qui, la stranezza di Chernobyl sulla Valsesia. Da Roma il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha voluto rassicurare: «I livelli di contaminazione riscontrati non costituiscono un rischio per la salute pubblica, in considerazione dei limitati consumi di carne di cinghiale e di selvaggina». Parole che hanno fatto sobbalzare più di qualcuno nella Valsesia, terra di cacciatori, di camosci, di cinghiali e di spezzatino. Qui c’è infatti una cucina che vive di questa carne. Qui c’è il Parco regionale del Fenera che è un po’ la patria del quadrupede dalle setole brune, con i suoi 300 esemplari che finiscono nel mirino delle 600 carabine ogni anno, anche se i 27 cinghiali contaminati sono stati abbattuti un po’ più su, nella zona alpina di Alagna, Scopello, Varallo. È lì che Alberto Vigone, giovane cacciatore, una mattina di novembre ha ucciso uno dei «radioattivi»: «Eh, e l’ho anche mangiato insieme agli amici. Ricordo di aver fatto una cenetta per dieci dopo aver portato ad analizzare la lingua della bestia al centro di controllo per escludere la trichinellosi (malattia della selvaggina, ndr). Questa di Chernobyl è una sorpresa assoluta. Mi ha chiamato ieri il veterinario per dirmi di non consumare la carne che ho congelato. Speriamo bene». Vigone è nel negozio di «Caccia e Pesca» di Carlo Gioria, un po’ il punto di riferimento delle doppiette della Valsesia. Mentre lui racconta la «battuta» di novembre, arriva Domenico Beccaglia, presidente dell’Unione Cacciatori Cinghialai: «Vent’anni di analisi e non è mai emerso nulla». Per Gioria, il negoziante, «questo è un problema perché la contaminazione, se c’è, non può riguardare solo il cinghiale: e le lepri? E i camosci? E i porcini? E le castagne?».
Da Torino e da Roma, comunque, tranquillizzano: «Non preoccupatevi». Nel negozio di Gioria c’è chi sospira e c’è chi si chiede per quale ragione si scopra solo oggi la radioattività dei cinghiali. (Corriere della Sera – Varallo-Vercelli)
9 marzo 2013 – riproduzione riservata