Riccardo Bruno. «Li hanno trovati anche in alta montagna, a grufolare a duemila metri. Esemplari che a volte raggiungono i due quintali. Una popolazione vastissima, nessuno sa esattamente quanti siano in Italia». Per Luciano Sammarone, comandante provinciale a Isernia del Corpo forestale, il primo problema sui cinghiali è esattamente questo: «Si dice che sono tantissimi, ma la questione non viene mai affrontata in modo coordinato. L’approccio giusto sarebbe: vediamo in un territorio qual è la fauna selvatica presente, quali sono le colture da tutelare, i centri abitati, e poi stabiliamo le priorità. A quel punto si deve procedere con piani di abbattimento mirati. Non come si fa adesso, i cinghiali sono lasciati liberi di fare i danni e poi la comunità deve pagare anche il costo degli indennizzi. È un sistema schizofrenico».
L’avanzata
Che bisogna fermare l’avanzata di questi ungulati, quasi scomparsi nei primi decenni del Novecento e via via reintrodotti per la gioia dei cacciatori, sono praticamente tutti d’accordo. Da anni. E da anni si fa poco o niente. Nel lontano 2009 tre Comuni all’interno del Parco delle Madonie, Collesano, Petralia Sottana e Castelbuono, poco distanti da dove ieri Salvatore Rinaudo ha perso la vita, decisero di fare da soli e emisero ordinanze per abbattere i cinghiali in eccesso. Un’associazione animalista fece ricorso e il Tar gli diede ragione: come si fa ad autorizzare l’abbattimento di animali protetti se non si sa nemmeno quanti sono?, motivarono i giudici.
Tutelati
Il cinghiale appartiene alla fauna selvatica tutelata dalle leggi nazionali. La caccia è consentita per tre mesi all’anno, in genere dal primo ottobre al 31 dicembre; Regioni e Province, se è necessario, possono autorizzare «eliminazioni» extra, ma in questo caso può intervenire solo personale autorizzato. La caccia è vietata all’interno dei parchi e delle aree protette. Per questo, e per le grandi capacità di adattamento, il numero dei cinghiali è cresciuto in modo esponenziale. «E spesso non siamo di fronte al cinghiale autoctono, più piccolo e di peso minore — aggiunge il comandante della Forestale Sammarone —, ma animali venuti dall’estero, molto più grandi. A volte si incrociano con i maiali, e la capacità riproduttiva diventa maggiore. Alcune femmine riescono a partorire anche due volte all’anno». Ogni figliata dieci cuccioli, con risultati ormai sotto gli occhi di tutti.
Un milione di esemplari
L’Ispra (l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale) ha stimato che possano aver superato il milione di esemplari, diffusi in tutte le venti regioni e nel 95% delle province. Il periodo più critico è proprio questo, da agosto a ottobre: i torrenti sono a secco, nei boschi c’è poco cibo, per questo si spingono in pianura, vicino ai campi e ai centri abitati. Proprio un paio di giorni fa i vertici dell’Ambito territoriale di caccia Firenze-Prato hanno ricordato agli agricoltori di verificare bene l’efficienza delle recinzioni elettrificate. L’uva è piatto prediletto per gli animali, e prodotto d’eccellenza da difendere a ogni costo. Ma non si possono sempre alzare barriere e recinti per proteggere i raccolti, o le strade dove i cinghiali sono sempre più spesso causa di incidenti.
Emergenza nazionale
«È un’emergenza nazionale, una situazione insostenibile — protesta Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti —. Non è più solo una questione di risarcimento dei danni, è diventato un fatto di sicurezza delle persone e della vita nelle campagne. Negli ultimi dieci anni gli animali selvatici sono quasi decuplicati e l’aumento dei cinghiali e di altri ungulati ha messo in allarme non solo le imprese agricole, ma anche la società e l’ambiente».
Franco Ferroni, responsabile Aree protette e politiche agricole del Wwf, aggiunge un altro elemento di riflessione e polemica : «Attorno al cinghiale c’è un mercato nero che vale centinaia di migliaia di euro: per un esemplare abbattuto legalmente, ce ne sono almeno due uccisi illegalmente». Per questo suggerisce un decreto che autorizzi anche gli agricoltori a catturarli e utilizzarli e preveda mattatoi mobili per garantire una macellazione controllata. Un tema che sottolinea anche il presidente nazionale di Arcicaccia, Osvaldo Veneziano, chiedendo una normativa straordinaria «che consenta di utilizzare la carne di cinghiale non più al nero, legalizzandone il commercio e con i conseguenti controlli sanitari».
Paradossi
Paradossi di un animale tutelato eppure lasciato che si diffondesse a beneficio di chi gli spara, che fa paura quando si ha la sfortuna di trovarselo davanti ma non quando siamo a tavola. E così, come accade per altre specie, siamo incapaci di trovare il giusto confine tra la protezione della natura e quella dei nostri interessi.
«Abbiamo perso il giusto approccio con l’ambiente — osserva il comandante Sammarone —. A volte si va a vivere in una casa isolata nel bosco e poi ci si lamenta che davanti passano i lupi, o anche gli orsi. È vero, il cinghiale è estremamente aggressivo, ma riflettiamo anche sui nostri comportamenti».
IL COMMENTO. PREDE E PREDATORI. STORIA DI UNA DIFFICILE CONVIVENZA
E DEL NOSTRO FALLIMENTO DI FRONTE ALLA NATURA
Danilo Mainardi. C’ è qualcosa d’assurdo nella storia del cinghiale nel nostro Paese. Sempre più numerosi razzolano non solo nelle campagne, monti e colline, ma anche alle porte delle città. Accade in Italia e non solo. Ne sono stati abbattuti a Berlino, altri fotografati a New York e, per tornare da noi, ricordo le immagini, viste sulle pagine di un quotidiano, di un cinghiale che si aggirava sui tetti di una casa a Sillano in provincia di Lucca. L’aggressione di queste ore in Sicilia conferma la gravità della situazione. L’assurdità sta nel fatto che questi animali invasivi, numerosi e dunque pericolosi, sono stati immessi nel nostro Paese a partire dagli Anni 50, a scopo principalmente venatorio. I capi immessi dapprima erano importati dall’ Est Europa, ma poi sono stati rilasciati in natura cinghiali allevati — in allevamenti nazionali — nati perciò in cattività e ibridati col maiale. Il ripopolamento è proseguito così, per anni, con scarso rispetto dei criteri di pianificazione faunistica, con immissioni non programmate, fino all’abusivismo e all’anarchia. Questo nonostante le linee guida rese note da tempo dal ministero dell’Ambiente e da Ispra.
E ora tutti a esprimere stupore e lamentazioni per il fatto che i cinghiali sono ovunque, tantissimi, di grande stazza (perché così li abbiamo selezionati). Come noto, poi, sono prolificissimi, fino a oltre una decina di cuccioli per parto, con conseguente costante incremento delle popolazioni. Anche perché i predatori naturali, lupi soprattutto, in Italia, nel frattempo, erano stati fatti fuori e, quando si è iniziato il recupero, a lungo se ne è contrastato e tuttora si contrasta il ritorno. Come se i predatori non servissero a niente, come se i principi basi dell’ecologia e della biologia fossero solo chiacchiere di ricercatori. Insomma, in questo quadro l’esplosione demografica del cinghiale non poteva che essere attesa e scontata. Emergenza fauna, è stato scritto sulla stampa a proposito dei numeri insostenibili di cervi, caprioli, cinghiali nel nostro Paese. Nel contempo lupi e orsi, sono classificati «specie problematiche» con esplicite proposte, avanzate periodicamente dalle diverse amministrazioni, di imbracciare le doppiette per risolvere i problemi. La convivenza fra l’uomo e le altre specie sembra davvero difficile e forse non resta che ammettere il fallimento di Homo sapiens e il successo di Sus scrofa, il cinghiale.
Il Corriere della Sera – 9 agosto 2015