Con 180 sì, 24 no e 15 astenuti, il Senato ha approvato ieri l’articolo 34 del ddl «Riforme» (meglio noto ai più come ddl «Boschi») che modificando l’articolo 122 della Costituzione introduce per la prima volta un tetto agli stipendi dei presidenti, degli assessori e dei consiglieri regionali: dalla prossima legislatura non potranno guadagnare più del sindaco del Comune capoluogo di Regione, e dunque, nel caso del Veneto, del sindaco di Venezia.
Si tratta di una bella botta al portafoglio degli inquilini di Palazzo Ferro Fini, che già avevano provveduto in questa legislatura a darsi «una sforbiciata sui piedi» per rintuzzare le critiche contro la Casta e le polemiche scoppiate alle scoperta delle «spese pazze» nei parlamentini regionali. Sul campo, facendo due conti, ciascun consigliere dovrà lasciare circa 20 mila euro lordi all’anno, che arrivano a 40 mila nel caso del governatore e del presidente del consiglio.
Il sindaco di Venezia guadagna infatti 85.908,24 euro lordi l’anno (all inclusive ) mentre la busta paga mensile di un consigliere è così composta, sempre al lordo: indennità di carica 6.600 euro; indennità di funzione (ce l’hanno praticamente tutti, tra presidenze e incarichi vari) va dai 2.700 di Zaia e Ruffato ai 2.100 euro dei revisori e dei vice presidenti di commissione; poi c’è la diaria, e sono altri 4.500 euro, in questo caso netti. Tolte le trattenute (1.299,35 euro per il vitalizio, i 450 euro per chi usa l’auto blu invece della propria, i gettoni delle sedute saltate eccetera) si arriva ad un loro annuale che oscilla tra i 125 mila euro dei presidenti ai 105 mila euro dei consiglieri semplici. Facile intuire lo sconforto che ha investito Palazzo Ferro Fini alla notizia: «Si sapeva ma ci credevano in pochi» sussurra un consigliere di lungo corso, ammettendo che nell’ombra molti confidavano nell’affossamento silenzioso dell’articolo da parte degli «amici parlamentari». E c’è chi sbotta: «A questo punto torno a lavorare, guadagno di più e mi risparmio il fegato». Laconico il commento del presidente dell’assemblea, Valdo Ruffato: «C’è poco da dire, i consigli regionali sono nel mirino ormai da due anni, si continua a battere e a ribattere su di noi come se tutti gli sprechi del Paese fossero qui. E intanto altrove si continua a spendere e spandere come se nulla fosse».
Nella giornata di ieri, piuttosto agitata (il presidente Pietro Grasso ha espulso il senatore del M5S Stefano Lucidi), sono stati approvati altri due articoli interessanti per la vita politica in Regione: il primo è l’articolo 32, che disciplina l’autonomia finanziaria degli enti territoriali specificando che questa va esercitata «nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci», il che significa che le Regioni non virtuose non potranno esercitare la propria autonomia. Il secondo è invece l’emendamento scritto dal senatore del Pd Giorgio Santini (poi firmato anche dagli altri democrats veneti, Filippin, Puppato e Casson), che rafforza nella Costituzione l’autonomia differenziata, allargandola a nuove materie. «In queste settimane abbiamo ottenuto due importanti vittorie – spiega Santini – in primis, il ripristino dell’articolo 116 della Costituzione e l’inserimento di spazi di autonomia reale e concreta per le Regioni. In secondo luogo la nuova norma costituzionale approvata oggi (ieri, ndr .) consente a quelle regioni che presentano i conti in ordine la possibilità di gestire in maniera autonoma e responsabile (sulla base di un accordo con lo Stato) anche materie di esclusiva competenza statale tra le quali, la giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, l’università e la ricerca, la tutela dei beni culturali e paesaggistici, l’ambiente, il turismo, l’ordinamento sportivo ed il governo del territorio. Si tratta di una grande opportunità, che spegne qualsiasi ipotesi referendaria di indipendenza avanzata in questi mesi».
Corriere del Veneto – 8 agosto 2014