Le Casse di previdenza dei professionisti restano nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni. E di conseguenza continueranno a essere destinatarie di tutti i provvedimenti di finanza pubblica che contengono tagli alla spesa oppure direttive che ne limitano la loro autonomia.
È quanto ha deciso il Consiglio di stato che, con la sentenza n. 6014 del 28 novembre 2012, ha accolto il ricorso dell’Istituto di statica contro la decisione (la n. 224/2012) del Tar Lazio di senso opposto. Spiegano i giudici della sesta sezione di Palazzo Spada che «la privatizzazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico. La trasformazione operata dal dlgs 509/1994, pertanto, rappresenta solo un’innovazione di carattere essenzialmente organizzativo».
Si chiude così, almeno per la giustizia amministrativa, una vicenda iniziata nel 2004 il cui epilogo era atteso per dare attuazione a quella Spending review (legge 135/2012) con la quale si è chiesto alle gestioni previdenziali di risparmiare per il 2012 il 5% sui consumi intermedi e di versarli allo Stato entro il 30 settembre. Disposizione rispettata, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, solo dagli enti dei commercialisti, dei ragionieri, degli avvocati e degli architetti e ingegneri.
La vicenda. È la Finanziaria del 2005 (legge 311/2004) a prevedere un tetto alle spese per quegli enti pubblici elencati in un apposito elenco stilato dall’Istat e aggiornato ogni anno. Elenco nel quale finiscono anche tutte le casse previdenziali privatizzate con dlgs n. 509 del 1994. Quattro anni più tardi (con la legge 196/2009) si chiarisce ancora una volta che «per amministrazioni pubbliche tenute al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall’Istituto nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari».
Sulla base di tale norma e del Regolamento Ue n. 2223/96-SEC 95 è confermata la presenza delle Casse nel citato elenco. Contro questi provvedimenti gli istituti previdenziali si oppongono fino ad ottenere una sentenza a loro favorevole da parte del Tar Lazio, successivamente impugnata in secondo grado dall’Istat e sospesa dopo pochi giorni con apposita ordinanza del Consiglio di stato
L’epilogo. Entrando nel merito della questione, i giudici spiegano che «l’attrazione degli enti previdenziali nella sfera privatistica operata dal dlgs 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione; la natura di pubblico servizio, in coerenza con l’art. 38 della Costituzione; il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l’efficacia».
Ma non solo. «Il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali (alle casse, per esempio, ritorna parte di quanto erogano a titolo di contributo di maternità ai propri iscritti, ndr), insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli enti previdenziali privatizzati, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali».
ItaliaOggi – 1 dicembre 2012