Oggi alle 9.30, in camera di consiglio, i 15 giudici della Consulta iniziano ad affrontare le questioni di costituzionalità sollevate intorno all’attuale legge elettorale, il «Porcellum». Lo ha deciso il presidente della Corte, Gaetano Silvestri, al termine di una intensa giornata di lavoro iniziata con l’udienza pubblica, al termine della quale si erano rincorse mezze conferme su uno slittamento al 14 gennaio della causa in ruolo più scottante. L’accelerazione indubbiamente c’è stata.
Anche perché sulla Consulta sono arrivate le critiche di Beppe Grillo che l’ha definita «veloce come un gasteropodo». Mentre Crozza, a Ballarò , ha ironizzato sui «rinvii» e sui costi della Corte.
Dal Palazzo della Consulta ci tengono a sottolineare che il presidente Silvestri ha parlato soltanto di «inizio della discussione sulla legge elettorale per le 9.30». E nulla di più, tanto per far capire che la spinosa questione Porcellum potrebbe chiedere comunque molto tempo: basta infatti un solo giudice per chiedere un rinvio (di solito concesso dai colleghi) per approfondire i «cenni del fatto» illustrati ieri dal relatore Giuseppe Tesauro nella udienza pubblica alla quale hanno partecipato i ricorrenti guidati dagli avvocati Aldo e Giuseppe Bozzi, rispettivamente nipote e figlio del leader liberale Aldo Bozzi.
La posta in gioco è altissima. E dunque le quattro ipotesi di scuola (rigetto del ricorso, bocciatura parziale o bocciatura totale del Porcellum, «sentenza monito» in due tempi) sono sul tavolo. «A questo punto tutto può succedere», fanno sapere dalla Corte ma solo stamattina dopo il primo giro di tavolo in camera di consiglio si riuscirà a capire se corrispondono al vero le voci che danno per rafforzato il partito favorevole a una bocciatura del Porcellum. Tra le vie d’uscita c’è anche quella dello «splittamento»: cioè, decidere oggi sull’ammissibilità della questione sollevata per rinviare (di uno o due mesi) l’ultima parola sul merito della causa. E questa ultima soluzione (come del resto anche la «sentenza monito») suonerebbe come un vero e proprio preavviso al legislatore, che finora ha dimostrato la sua incapacità di modificare la legge elettorale.
Su questo schema si è mosso il presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha voluto dare la sveglia ai partiti: «Sulla legge elettorale lo stallo è evidente, come se i gruppi non si rendessero conto della marea montante di rabbia che si riverserà più forte sui partiti se non ci sarà l’accordo». Il monito, dunque, stavolta porta la firma della seconda carica dello Stato che ha parlato di pomeriggio a Palazzo Giustiniani anche di quello che succede in casa sua. Ma Grasso è intervenuto quando ancora il rinvio al 14 gennaio era la notizia dominante su tutte le testate online: «Oggi (ieri, ndr ) la Corte costituzionale ci ha dato un po’ di tempo, io spero che ci sia condivisione al Senato ma se ci sarà ancora stallo non esiterò un attimo a sostenere il trasferimento alla Camera».
Il Senato finora ha fatto pochi passi in avanti e l’ultimo flop è andato in scena lunedì sera quando è saltata la seduta della prima commissione chiamata a votare un ordine del giorno di Calderoli sul ritorno al Mattarellum (la precedente legge elettorale, 75% maggioritario e 25% proporzionale). Alla Camera, invece, scalpitano i renziani (Roberto Giachetti continua il suo sciopero della fame) che lodano Grasso: «Il presidente del Senato ha interpretato l’umore del Paese», ha detto il deputato Michele Anzaldi. Ma il nuovo partito di Alfano, Ncd, e la Lega attaccano Grasso accusandolo di essere troppo sbilanciato sulle posizioni di Renzi: «Mi auguro che il presidente del Senato voglia difendere e anzi operosamente accompagnare la capacità della Camera che presiede di produrre in tempi ragionevoli la riforma della legge elettorale», osserva il capogruppo Maurizio Sacconi (Ncd).
Ma anche il presidente della Camera, Laura Boldrini, non è insensibile a un ritorno della legge elettorale a Montecitorio dove Pd, Sel e Scelta civica hanno la maggioranza.
Dino Martirano – Corriere della Sera – 4 dicembre 2013