Nessun colpo d’ala: per 75 minuti Giuseppe Conte elenca pedissequamente i punti salienti del contratto di governo M5S-Lega. Un discorso di 31 pagine nel quale ribadisce anche il nuovo asse con la Russia di Putin, pur confermando il patto atlantico e l’alleanza privilegiata con gli Usa. Lo accompagnano gli applausi della sua maggioranza. Ma il premier, che tra l’altro terrà la delega ai Servizi, si guarda bene dallo sciogliere i nodi già emersi all’indomani della presentazione del contratto: euro, pace fiscale, Sud, infrastrutture, solo per citare i più eclatanti. Nulla. Neppure sulla sterilizzazione dell’aumento Iva. Dopo il suo intervento al Senato, però, lo spread torna a sfiorare i 240 punti base e Piazza Affari va in rosso, con le banche di nuovo nel mirino. Un segnale che, assieme alle critiche delle opposizioni per le troppe omissioni, costringono Conte a correggere il tiro. Prima di incassare la fiducia con 171 sì, 117 no e 25 astenuti, tra cui i 18 senatori di Fdi.
È nella replica, dunque, che il premier assicura: «L’uscita dall’euro non è mai stata in discussione, ma è legittimo chiedere all’Europa di rinegoziare le politiche economiche». Anche sulle grandi opere – tema divisivo per M5S e Lega, a partire dalla Tav – il presidente del Consiglio non dà indicazioni, salvo limitarsi a prendere tempo per «studiare i dossier aperti». Ma pure su pensioni, flat tax e obiettivi di finanza pubblica l’approccio è generico. I 2.300 miliardi di debito pubblico vengono liquidati in una battuta: «Il debito pubblico italiano oggi è pienamente sostenibile. Va comunque perseguita la sua riduzione, ma in una prospettiva di crescita economica». Il premier si trincera dietro le parole d’ordine: «Sono un cittadino, garante dell’attuazione del contratto». Si rivolge alla «gente», rivendicando la natura populista e anti-sistema del suo governo per rimuovere «le incrostazioni di potere». E citando, sia pur non correttamente, Dostoevskij su Puškin (forse ha preso spunto da Macron). A chi lo critica risponde con le promesse che hanno caratterizzato l’ascesa dei pentastellati e anche del Carroccio: trasparenza, lotta ai privilegi dei politici e alle pensioni d’oro, guerra al business dell’immigrazione, sostegno alle famiglie disagiate. Qui l’unico accenno alla tabella di marcia, quando annuncia che in una prima fase si attuerà la riforma dei centri per l’impiego e poi partirà il reddito di cittadinanza. Il passaggio sulla flat tax non dirime la querelle sui tempi di attuazione e sui beneficiari (imprese e famiglie). E non cita mai la pace fiscale, con cui la Lega conta di recuperare gettito per finanziare il nuovo sistema tributario. Una lacuna che Matteo Salvini è costretto a recuperare a margine. Così come è Luigi Di Maio a garantire che l’Iva non aumenterà e che la legge Fornero sarà abolita. Il segretario della Lega ascolta il lungo discorso alla sinistra di Conte. A destra c’è il leader M5S, l’altro vicepremier. Davanti al premier il leghista Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Un “direttorio” che anche plasticamente fotografa i rapporti di forza nel nuovo governo. Così come non è un dettaglio che Salvini in occasione della replica del premier abbia deciso di lasciare il banco dell’esecutivo per tornare allo scranno tra i suoi senatori.
Anche in Aula non ci sono sorprese: agli applausi scontati e accompagnati in alcuni passaggi da cori da stadio dei due partiti di maggioranza si contrappone un’opposizione composta. Unici segnali di dissenso la battuta «Dillo a Casaleggio» dai banchi del Pd quando Conte parla di conflitto d’interessi, la maglietta della dem Monica Cirinnà pro-famiglie arcobaleno e le espressione contrariate dei senatori forzisti sui passaggi più giustizialisti. C’è un solo punto del discorso del premier che vede tutti i senatori uniti in piedi ad applaudire. Quando Conte, sia pure dopo tre giorni, ricorda l’omicidio di Soumayla Sacko, il migrante ucciso a San Calogero: «Vicenda tragica e inquietante».
Il Sole 24 Ore – 6 giugno 2018