La Cassazione ha ribadito con la sentenza 17123/15 depositata ieri che il risarcimento del danno subito da un lavoratore per effetto di dequalificazione professionale può essere liquidato con valutazione di tipo equitativo, facendo riferimento a specifici elementi desunti dallo svolgimento del rapporto di lavoro: la quantità e la qualità dell’esperienza lavorativa pregressa, il tipo di professionalità colpita, la durata della dequalificazione e gli esiti finali residuati a carico del lavoratore per effetto del riconosciuto depauperamento professionale.
Il caso esaminato dalla Corte era relativo ad un dipendente il quale, benché inquadrato come quadro, sosteneva di avere svolto per un lungo periodo, parte del quale in regime di distacco, mansioni di contenuto dirigenziale e di essere stato, quindi, sottoposto ad un pesante ridimensionamento professionale mediante inserimento in un gruppo di studio da cui esulava qualsiasi spazio discrezionale. Il lavoratore rivendicava, da un lato, il riconoscimento nella posizione di dirigente e chiedeva, d’altro lato, l’accertamento della dequalificazione subita e il risarcimento dei danni sopportati sul piano professionale.
In primo grado il Tribunale di Roma rigettava le domande collegate al superiore inquadramento, ma accertava la dequalificazione professionale e riconosceva al lavoratore un risarcimento liquidato equitativamente in misura pari 30% della retribuzione. La Corte d’appello rivalutava, tuttavia, la misura dell’indennizzo sulla base della durata e dell’entità del demansionamento, della qualifica rivestita e dell’esperienza professionale maturata dal lavoratore, elevandolo al 40% della retribuzione.
Sia il lavoratore, sia l’impresa ricorrevano per Cassazione, ritenendo il primo che la liquidazione del risarcimento dovesse riferirsi all’intera retribuzione percepita e non ad una quota parte della medesima, mentre il datore di lavoro censurava la sentenza d’appello sul presupposto, tra l’altro, che non erano stati dimostrati fatti specifici a sostegno del preteso danno professionale.
La Cassazione ha rigettato le censure di ambo le parti, evidenziando che una liquidazione del danno professionale parametrata su una percentuale dell’intera retribuzione era idonea e logicamente coerente con le risultanze dedotte ed emerse in giudizio, atteso che il lavoratore non era stato privato in misura integrale delle proprie mansioni e che, inoltre, non risultava adibito ad attività umilianti o degradanti.
Per altro verso, la Corte ha confermato che la prova del danno subito a causa di dequalificazione professionale e la misura dell’indennizzo possono essere raggiunti e determinati attraverso elementi idonei quali la quantità e la qualità dell’esperienza lavorativa maturata dal lavoratore, le specifiche caratteristiche professionali da lui possedute ed il bagaglio di competenze acquisite, lo spazio temporale lungo il quale si è protratta la dequalificazione e il suo esito finale.
Giuseppe Bulgarini d’Elci – Il Sole 24 Ore – 26 agosto 2015