Nella bozza di decreto la liberalizzazione delle proroghe c’è ma per stipularle servono «ragioni oggettive». C’è attesa per conoscere il testo definitivo del decretolegge che interviene su contratti a termine e apprendistato; la bozza di provvedimento circolata prima dell’avvio consiglio dei ministri di mercoledì non rispecchierebbe la forte semplificazione alla flessibilità in entrata annunciata con enfasi dal governo.
Sul fronte dei contratti a termine, nel testo in bozza, non c’è traccia di intervento sugli intervalli (10 o 20 giorni a seconda della durata del rapporto) per sottoscrivere un nuovo contratto a tempo. Gli “stop and go”, disciplinati dalla Fornero e rivisti con il dl Giovannini, resterebbero quindi in vigore. Ci sarebbe invece la completa liberalizzazione della proroga del contratto a termine (anche più volte) all’interno del limite dei tre anni, come annunciato dal ministro Poletti. Ma nella bozza di dl è previsto che tali proroghe sono ammesse «a condizione che siano richieste da ragioni oggettive» e si riferiscano alla stessa attività lavorativa. Ma questa disposizione sembrerebbe contraddire l’allungamento della «acausalità» del primo contratto a termine da 12 a 36 mesi, anch’essa contenuta nella bozza del dl. La contraddizione sarebbe questa. Un datore di lavoro può sottoscrivere un primo contratto a termine, supponiamo per 18 mesi, senza causale. Poi lo può prorogare (fino al limite massimo di 36 mesi) ma deve specificare le «ragioni oggettive» (cosa che per il primo contratto non ha fatto).
La bozza di dl conferma poi l’introduzione (una novità assoluta, visto che fino a oggi non c’è mai stato) del limite massimo del 20% dell’utilizzo del contratto a termine. Un tetto, parametrato sull’organico complessivo, che sembra non tener conto delle realtà aziendali più piccole (che avranno quindi difficoltà ad assumere dipendenti a tempo). Ma che penalizza anche la stagionalità delle assunzioni e quelle imprese che utilizzano le sostituzioni. Inoltre, non è previsto nessun coordinamento con l’articolo 10 del dlgs 368 del 2001 che consente interventi derogatori da parte della contrattazione collettiva.
Di qui l’auspicio che la versione definitiva del dl, su cui stanno ancora lavorando i tecnici del ministero del Lavoro, contenga le opportune (e soprattutto annunciate) modifiche. «Per una vera semplificazione del contratto a termine – spiega Roberto Pessi, professore di diritto del lavoro all’università «Luiss» di Roma – serve estendere l’acausalità su tutti i 36 mesi, proroghe comprese, ed eliminare gli intervalli per la successione dei rapporti». In questo modo, aggiunge Pessi, si otterrebbe anche un «forte effetto di contenimento del contenzioso che è praticamente tutto incentrato sulle causali e sugli stop and go».
Positivo, per le imprese, è l’intervento sull’apprendistato di primo livello con la previsione che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento (questa misura è collegata all’imminente decollo del programma sperimentale di apprendistato a scuola previsto dal decreto Carrozza). Può invece creare problemi con l’Europa la previsione, contenuta nella bozza di dl, di rendere discrezionale la formazione pubblica. «Il rischio è quello di far rivivere il vecchio contratto di formazione e lavoro – evidenzia il professore di diritto del Lavoro dell’università di Modena e Reggio Emilia, Michele Tiraboschi – e quindi considerando che l’apprendistato gode di sgravi contributivi c’è la possibilità che vengano ritenuti non giustificati dalla normativa europea sugli aiuti di Stato». C’è poi la previsione sul piano formativo individuale (per cui non è più necessaria la forma scritta) che, secondo Tiraboschi, «rischia di snaturare il rapporto. A differenza di quanto accade in Germania dove c’è un forte sistema di apprendistato». Bene invece l’eliminazione della disciplina sulla stabilizzazione (almeno il 30% di assunzioni a tempo indeterminato introdotto dalla legge Fornero come vincolo per poter sottoscrivere nuovi rapporti di apprendistato). Ma bisogna «coordinare al meglio questa previsione con la disciplina prevista dalla contrattazione collettiva, che rimane in piedi, per evitare che si traduca in una semplificazione di facciata», avverte il giuslavorista Stefano Salvato, dello studio legale di Roma «Ghera e associati».
Il ministro Poletti evidenzia come le misure di semplificazione su contratti a termine e apprendistato interesseranno una platea vasta di lavoratori (7 assunzioni su 10, stima il titolare del Lavoro). Che conferma come nel ddl ci sia la norma che ipotizza l’introduzione di un salario minimo e quella che prevede la possibilità di introdurre un contratto a tutele crescenti per i lavoratori coinvolti.
Il Sole 24 Ore – 14 marzo 2014