Il contributo di solidarietà sulle pensioni targato 2014 finisce sui tavoli della Corte costituzionale, che con la sentenza 116/2013 aveva cancellato il vecchio taglio, introdotto nel 2011.
A chiamare in causa la Consulta è questa volta la Corte dei conti (sezione giurisdizionale per il Veneto – giudice unico delle pensioni), investita della questione da un ricorso di un gruppo di ex magistrati, docenti, ufficiali delle forze armate e dirigenti pubblici e privati. Torna in bilico, dunque, lo sforzo chiesto a circa 50mila pensionati, che ricevono un assegno superiore a 14 volte il minimo (circa 90mila euro all’anno): per il bilancio dello Stato il rischio tutto sommato è quasi “simbolico” (la partita vale 93 milioni all’anno, che si riducono a 52 se si calcolano i mancati incassi fiscali), ma sul piano politico il tema è sempre caldissimo come mostrano i continui dibattiti sui “tagli alle pensioni d’oro”.
Memore della prima bocciatura che aveva interessato il taglio alle pensioni scritto dal Governo Berlusconi e “perfezionato” da Monti, la legge di stabilità 2014 approvata dal Governo Letta aveva introdotto due modifiche con l’obiettivo esplicito di evitare nuove obiezioni: la norma (comma 486 della legge 147/2013), oltre a sottolineare il carattere eccezionale dell’intervento, limitato al 2014-2016, aveva specificato che i soldi sarebbero stati trattenuti ai pensionati «anche al fine di concorrere al finanziamento» delle salvaguardie per gli esodati. Con questo meccanismo di “solidarietà” tutta interna al mondo previdenziale, la legge ha provato a rispondere alle critiche della Consulta, che aveva giudicato illegittimo il primo contributo perché rappresentava «una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizionealbilanciostataledel relativo ammontare».
L’escamotage non basta però allaCortedeiconti. Primaditutto, spiegano i magistrati contabili, il fatto che le risorse siano trattenute dalle gestioni previdenziali e non riversate allo Stato non fa nessuna differenza, dal momento che lo Stato rimane l’unico titolare della competenza previdenziale e l’Inps è un suo «ente strumentale». Nemmeno la finalità salva-esodati è decisiva, perché la norma non prevede una destinazione esclusiva di queste risorse al finanziamento delle “salvaguardie” ma spiega che gli enti previdenziali le utilizzano «anche» per questo scopo.
In questo quadro, anche la nuova sforbiciata si presenta come «definitiva», perché le somme trattenute dagli enti previdenziali non sono ovviamente recuperabili, e assume secondo la Corte dei conti l’aspetto di un «prelievo tributario», In quanto tale, il contributo di solidarietà rischierebbe di fare a pugni con il principio secondo cui le richieste fiscali devono essere commisurate alla «capacità contributiva» (articolo 53 della Costituzione) dei cittadini, che sono «eguali davanti alla legge» (articolo 3): gli stessi principi che hanno spinto in passato la Corte costituzionale a cancellare sia i tagli agli stipendi dei “manager” pubblici, sia la prima stretta sulle pensioni.
In un’altra delibera (la 1/2015 della sezione centrale di controllo sugliattidelGoverno) laCortedei conti mette in dubbio la legittimità costituzionale del divieto per le Pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi ai pensionati. In questo caso la magistratura contabile non solleva direttamente la questione di costituzionalità, cosachepuòfaresoloinmateriaprevidenziale oppure quando è in gioco l’articolo 81 della Carta (quello sul pareggio di bilancio), ma solleva dubbi sul fatto che lo stop ai pensionati sia in linea con rispetto degli articoli 3 e 51 della Costituzione», cioè sulle parti in cui si fissano i principi della «pari dignità sociale» di tutti i cittadini, che devono essere «uguali davanti alla legge», e si spiega che la stessa eguaglianza deve verificarsi quando si tratta di «accedere agli uffici pubblici». Potrà essere qualsiasi Tar, nel ricco contenzioso che si sta sviluppando sul tema, a chiedere alla Consulta di pronunciarsi sui punti che alimentano i dubbi dei magistrati contabili.
Il Sole 24 Ore – 17 febbraio 2015