I compensi dei direttori generali delle aziende del Ssr non possono superare il tetto di legge e ogni norma regionale che preveda rivalutazioni o indicizzazioni anti-inflazione è contraria ai tagli decisi dal 2008 per stabilizzare i conti dello Stato. Lo precisa la Corte dei conti in un parere della sezione di controllo della Basilicata del 24 settembre scorso (delibera n. 53/2015), bocciando la tesi adottata dalla Regione Basilicata per cui le leggi regionali sul tema prevalgono su quelle nazionali (Tribunale di Roma, sentenza n. 19892/2012). Dopo la riforma federalista del Titolo V della Costituzione, l’Ente aveva più volte legiferato per un trattamento annuo ai direttori generali superiore al tetto di legge di 154.937,06 euro (Norme sul contratto del dg, amministrativo e sanitario di asl e aziende ospedaliere, Dpcm 502/1995, poi modificato da Dpcm 319/2001), consentendo compensi extra prima entro il 90% (lr n. 7/2003), e poi anche oltre.
Con «rivalutazioni» sugli aumenti fissati dal Ccnl di settore o «comunque all’aggiornamento annuale» su indice Istat dei prezzi al consumo (legge regionale 1/2006).
La decisione. La Corte ha spiegato che «l’obiettivo di finanza pubblica che alle Regioni è stato imposto di raggiungere è chiaro: a far data dalla entrata in vigore del D.L. n. 112/2008 (comma 14, art. 61, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria”, in vigore dal 25 giugno 2008, ndr), il conferimento o del rinnovo dell’incarico, tra gli altri, di direttore generale dell’Azienda Sanitaria Locale, avrebbe dovuto comportare la rideterminazione del relativo trattamento economico complessivo con una riduzione del 20% rispetto all’ammontare (complessivo) risultante alla data del 30.6.2008» e che «il risparmio di spesa stimato sarebbe andato a coprire la contestuale abolizione della quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, disposta con il comma 19 del medesimo art. 61».
Ogni Regione da allora «o opera il taglio e destina al proprio servizio sanitario regionale le risorse provenienti, tra le altre, dalla disposizione di cui al comma 14 (taglio retribuzioni dirigenti, ndr), così da finanziare l’abolizione della quota di partecipazione alle prestazioni specialistiche (comma 19, ndr); oppure può decidere di applicare, in misura integrale o ridotta, la quota di partecipazione abolita ai sensi del comma 19, ovvero altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria di effetto finanziario equivalente».
Dopo aver ribadito il principio per cui «il rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio “deve essere inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri ed obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi” (C.Cost. n. 181/2006)», i magistrati contabili hanno quindi chiarito come con le norme del 2008 «non possa più trovare applicazione il meccanismo di rivalutazione o di indicizzazione delle retribuzioni dei direttori generali (…) in quanto contrario alle disposizioni di principio sulla materia introdotta, in sede di coordinamento della finanza pubblica».
Il Sole 24 Ore sanità – 5 ottobre 2015