È legittimo il licenziamento del biologo dirigente presso l’Azienda sanitaria regionale che deliberatamente ometta di effettuare gli «esami urgenti» richiesti durante la notte dal cardiologo di turno, buttando nel contenitore dei rifiuti provette e richiesta. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 24801/2015, depositata ieri, chiarendo anche che la sospensione cautelare del dipendente «si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e legittimando la perdita “ex tunc” del diritto alle retribuzioni, a far data dal momento della sospensione medesima».
La vicenda che ha investito l’Asur 3 di Fano è piuttosto complessa articolandosi in diverse azioni giudiziali. Nell’ambito delle quali il dipendente si è aggiudicato un round favorevole quando a seguito del secondo licenziamento – intimato per una serie di inadempimenti tra cui la divulgazione alla stampa di documenti riservati relativi a un presunto caso di malpractice e minacce a colleghi – aveva ottenuto il pagamento delle retribuzioni maturate tra il secondo recesso e la reintegra disposta dal tribunale di Pesaro, in via cautelare. Da lì in poi però il sanitario ha accumulato soltanto sconfitte.
Il parere del Comitato dei garanti.
In particolare, nel chiudere la vicenda, la Cassazione ricorda come nel pubblico impiego il parere del Comitato dei garanti (in questo caso favorevole al sanitario) ha «carattere obbligatorio ma non vincolante, e comunque non può mai esonerare il datore di lavoro dalle valutazioni di sua competenza». E comunque rileva unicamente in riferimento alla responsabilità gestionale «e non anche alla responsabilità disciplinare del dirigente», che abbia dunque violato singoli doveri. Quanto poi all’argomento secondo cui egli aveva ritenuto «non necessarie» le analisi, dopo aver sottolineato la «gravità» della condotta, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, la Suprema corte precisa che «non rientra nell’ambito di competenza operativa del biologo l’apprezzamento della necessità ed urgenza delle analisi e che l’eventuale dubbio (ove effettivo) su tali presupposti avrebbe dovuto indurre ad altra condotta e non già ad omettere un atto dovuto».
La decisione.
Infine, sottolineano i giudici, una volta ritenuto legittimo il primo licenziamento, «non possono riconoscersi al lavoratore le retribuzioni per i mesi intercorsi tra il secondo recesso e l’ordine di reintegrazione in servizio: l’ordine ha, infatti, perso ogni effetto, con l’ulteriore conseguente insussistenza del diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni». E, conclude la sentenza, «le stesse ragioni valgono anche per gli effetti della sospensione cautelare dal servizio che permangono fino all’esito del procedimento penale o disciplinare, il cui esito favorevole condiziona il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte».
Il Sole 24 Ore – 8 dicembre 2015