di Daniela Casciola. Una normativa nazionale non può privare un dipendente pubblico di sesso maschile del diritto al congedo parentale per la ragione che la moglie non lavora o non esercita alcuna professione. Lo ha deciso la Corte di giustizia europea, con la sentenza, depositata ieri, nella causa C-222/14 che riguarda il caso di un amagistrato greco.
La vicenda
Il diritto ellenico, infatti, prevede che un dipendente pubblico di sesso maschile non abbia diritto al congedo parentale retribuito se la moglie non lavora o non esercita alcuna professione, a meno che la stessa, a causa di grave malattia o disabilità, venga considerata non in grado di accudire prole.
La decisione
La Corte Ue ha dichiarato questa norma contraria al diritto dell’Unione ricordando che, ai sensi della direttiva sul congedo parentale, ciascun genitore è titolare individualmente del diritto al congedo parentale. Si tratta di una prescrizione minima alla quale gli Stati membri non possono derogare con le loro leggi o convenzioni collettive. Ne deriva che un genitore non può essere privato del diritto al congedo parentale e che, pertanto, la situazione professionale del coniuge non può ostare all’esercizio di tale diritto. Una soluzione del genere è, del resto, conforme non soltanto all’obiettivo della direttiva di agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano, ma altresì alla qualità di diritto sociale fondamentale che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconosce al diritto al congedo parentale.
La discriminazione tra sessi
La Corte rileva peraltro che, in Grecia, le madri che hanno lo status di dipendente pubblico possono sempre beneficiare del congedo parentale, mentre i padri che hanno il medesimo status possono beneficiarne soltanto se la madre del loro bambino lavora o esercita una professione. In tal modo, la mera qualità di genitore, se è sufficiente a consentire alle donne dipendenti pubblici di avvalersi di tale congedo, non lo è per gli uomini aventi il medesimo status. Lungi dall’assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne nella vita lavorativa, la normativa ellenica è dunque tale da perpetuare una distribuzione tradizionale dei ruoli tra gli uomini e le donne mantenendo gli uomini in un ruolo sussidiario rispetto a quello delle donne per quanto riguarda l’esercizio della funzione genitoriale. Ne deriva che il codice ellenico del pubblico impiego istituisce, nei confronti dei padri dipendenti pubblici che intendano avvalersi del congedo parentale, una discriminazione diretta fondata sul sesso contraria alla direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione.
Il Sole 24 Ore – 17 luglio 2015