L’Italia dovrà integrare con la rivalutazione l’indennità integrativa speciale alle persone contaminate a causa di trasfusioni di sangue infetto o somministrazione di derivati. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto la richiesta di 162 persone, che hanno contratto l’Hiv o l’epatite B e C, di percepire le somme relative alla rivalutazione Istat calcolata sull’indennità integrativa speciale, prevista dalla legge 210/1992.
Una norma che lo Stato aveva messo fuori gioco con il decreto legge 78/2010, che escludeva la possibilità di allineare l’indennità speciale all’inflazione: decisione tenuta ferma malgrado la Corte costituzionale avesse dichiarato l’incostituzionalità del decreto. Con la sentenza 293 del 2011 la Consulta aveva affermato il contrasto della norma con la Carta, per la parte in cui metteva in atto una discriminazione rispetto alle persone affette dalla sindrome di Talamoide, mentre l’aveva negata riguardo a chi aveva subito danni a causa delle vaccinazioni obbligatorie; categorie che rientrano entrambe sotto la tutela della legge.
Il decreto legge varato dal Governo non va bene neppure per la Cedu perché ha fornito un’interpretazione della legge favorevole allo Stato, togliendo la parola ai giudici, con il duplice effetto, di vanificare le vittorie ottenute dai tribunali e dalle Corti interne che avevano riconosciuto un diritto, non più valido dall’entrata in vigore del decreto.
Strasburgo si allinea alla Corte costituzionale, anche nell’affermare la disparità di trattamento subìto rispetto alle persone affette dalla sindrome di Talamoide, negando, al pari della Consulta, la possibilità di paragonare la situazione di chi è stato contagiato dal sangue infetto con quella di chi ha avuto dei danni causati dai vaccini. La vaccinazione obbligatoria è, infatti, imposta da un’interesse pubblico alla salute collettiva, circostanza che comporta un obbligo di solidarietà sociale, che non c’è nel caso degli emotrasfusi.
Il distinguo non impedisce alla Corte di affermare il diritto alla rivalutazione dell’indennità speciale, ricorrendo a una sentenza pilota – che sarà definitiva solo fra tre mesi se l’Italia non farà appello alla Grande Chambre – come aveva già fatto per il sovraffollamento delle carceri.
Uno strumento che i giudici di Strasburgo adottano quando hanno ricevuto molti ricorsi per una stessa violazione e molti altri ne temono. Come nel caso esaminato, che riguarda circa 60 mila persone. «Lo stesso Governo riconosce – si legge nella sentenza – che migliaia di persone hanno introdotto dei ricorsi interni per ottenere la rivalutazione dell’indennità speciale. La questione riguarda del resto potenzialmente tutte le persone infettate in seguito a trasfusioni di sangue che beneficiano dell’indennità prevista dalla legge 210/1992».
Per questo si giustifica l’adozione di una sentenza pilota che, oltre a fornire una lettura dei casi analoghi, deve indurre lo Stato ad adottare rimedi strutturali. «Non c’è dubbio che le violazioni dei diritti dei ricorrenti che la Corte ha constatato, non riguardino incidenti isolati ma sono il risultato sistematico che deriva dal mancato riconoscimento, da parte delle autorità competenti, della rivalutazione, anche in seguito alla sentenza della Corte costituzionale». Una situazione che riguarda l’avvenire di molti ed è incompatibile con la Convenzione. Per questo il Governo deve fissare, entro sei mesi dalla data in cui la sentenza sarà definitiva, un termine obbligatorio entro il quale pagherà le rivalutazioni a chi beneficia della legge 210/1992 anche se non è stata avviata una procedura per far valere il diritto. I 162 ricorrenti hanno chiesto in totale 1.144.555,63 euro per i danni materiali e 8.890.200 per i danni morali. L’Italia dal canto suo ha dichiarato l’impossibilità di fare una sua stima entro i sei mesi per i danni materiali mentre giudica eccessiva la richiesta per i pregiudizi morali.
IlSole 24 Ore – 4 settembre 2013