Il consumo di carne è destinato a crescere di circa il 73% entro il 2050, mentre quello dei prodotti caseari vedrà un incremento del 58%. Le ragioni risiedono nell’aumento della popolazione e del reddito mondiale che alimentano un trend di progressivo aumento del consumo pro-capite di proteine animali nei Paesi in via di sviluppo. A riferirlo il rapporto World Livestock 2011. Gran parte della domanda futura di prodotti d’allevamento verrà soddisfatta dall’uso di sistemi d’allevamento intensivo su larga scala, afferma il rapporto Fao. Ma come stanno in Italia in questo momento due dei comparti più significativi, quelli della carne bovina e suina? A rivelarlo una studio del Crpa di Reggio Emilia e del Crefis.
Si scopre così che gli allevamenti bovini sopravvivono grazie ai premi comunitari (cosa accadrà con la riforma Pac?), mentre per il suino si sta vivendo un momento di ripresa delle quotazioni dopo una crisi profonda. Ma dalla Ue sono in arrivo i primi segnali di un’inversione di tendenza. Di seguito le analisi di Angelo Gamberini per Agronotizie
La carne bovina rischia (in Italia) l’estinzione
I nostri allevamenti sopravvivono solo grazie ai premi comunitari, che la riforma della Pac potrebbe annullare o ridurre in gran parte
Ogni chilo di carne bovina che esce da un allevamento di vitelloni costa più di due euro. Lo conferma un attento studio recentemente pubblicato dal Crpa (Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia). Lo stesso studio mette in evidenza che almeno dal 2008 il prezzo dei vitelloni è al disotto del costo di produzione. In queste condizioni gli allevamenti di bovini da carne dovrebbero aver già chiuso i battenti da un pezzo. Invece sono ancora in attività, almeno la maggior parte. Come si spiega? Tutto merito dei premi Pac che consentono la sopravvivenza degli allevamenti, offrendo un pur risicato margine di redditività. E’ ancora lo studio del Crpa a sottolinearlo. Solo grazie al pagamento unico aziendale e del premio accoppiato alla macellazione, infatti, gli allevamentii hanno ottenuto un’integrazione del reddito aziendale sufficiente a remunerare i costi di produzione, lasciando un piccolo margine positivo. Questa è la “fotografia” del settore per il 2010. Ma per quest’anno si teme che l’aumento dei costi, in particolare dell’alimentazione per il rincaro del mais (+ 65% nella prima metà dell’anno), possa annullare anche i benefici del sostegno comunitario. Né si può contare su una ripresa delle quotazioni di mercato tale da mettere “in sicurezza” gli allevamenti. I consumi di carni bovine sono stabili o peggio in flessione, cosa che certo non favorisce una spinta sulle quotazioni. Al contrario continuano le tensioni sui prezzi delle materie prime per l’alimentazione, sempre più volatili e altalenanti sotto le spinte dei mercati globali e delle speculazioni finanziarie.
Attenti alla Pac
Il mercato preoccupa, ma non spaventa. Allevatori e operatori del settore sono avvezzi agli sbalzi di “umore” e al saliscendi dei prezzi. La “tempesta perfetta”, quella capace di spazzare via le ultime speranze di sopravvivenza dei nostri allevamenti, è invece dentro alla riforma della Pac. I nostri allevamenti, per la loro particolare fisionomia, potrebbero vedere una forte riduzione degli aiuti che hanno sin qui percepito. Spesso si tratta di stalle da ingrasso, che si riforniscono di vitelli importati al peso di circa 300 chilogrammi e poi portati sino al finissaggio con pesi di oltre 600 chili. Stalle che in molti casi non hanno a disposizione grandi superfici di terreno agricolo e che per l’alimentazione si rivolgono ad acquisti esterni all’azienda. A queste tipologie di allevamento, che peraltro trovano diffusione solo in Italia, la riforma della Pac non dedica attenzione. E il risultato sarà un taglio degli attuali premi. Taglio che porterà alla chiusura delle stalle da carne, visto che è solo grazie ai premi comunitari che si realizza un margine, come dimostra l’analisi del Crpa. Stalle chiuse e aumento delle importazioni, che coincide con un un peggioramento della nostra bilancia commerciale. E’ questo lo scenario al quale bisogna prepararsi. E che si potrebbe evitare se a Bruxelles si riuscisse a far valere le ragioni degli allevamenti da carne italiani. Un risultato che in passato è stato raggiunto solo poche volte.”
I suini e la crisi tra un addio e un arrivederci
Migliorano le quotazioni grazie alla minore pressione della produzione. Ma dalla Ue arrivano i primi segnali di un’inversione di tendenza
Per i suinicoltori la crisi è solo un ricordo, seppure amaro. Da giugno l’indice di allevamento calcolato da Crefis (Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole) continua infatti a mantenersi con il segno più davanti e a novembre ha fatto registrare un incremento del 5,2% rispetto al mese precedente. La redditività degli allevamenti, è ancora il Crefis ad evidenziarlo, si è così riportata nella media europea. Merito del buon andamento delle quotazioni di mercato che in particolare per i suini pesanti ha messo a segno incrementi sensibili, portandosi in prossimità di 1,6 euro al chilo. In confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente si ha un aumento di oltre il 25%. Bene anche l’andamento delle quotazioni per i suini leggeri, prossimi ad una media di 1,3 euro al chilo, con un aumento rispetto a 12 mesi fa di oltre il 21%. Il buon andamento delle quotazioni dei suini vivi ha trascinato verso l’alto il mercato delle cosce destinate al circuito dei prodotto Dop, con prezzi in media oscillanti da 3,92 a 4,16 euro al chilo, rispettivamente per i tagli più leggeri e più pesanti. Stessa fisionomia per le quotazioni delle cosce non destinate al circuito Dop, segno che l’eccesso di offerta che aveva fatto scattare il crollo delle quotazioni nei mesi precedenti sembra essere del tutto rientrato. Buoni risultati anche per le nostre esportazioni, che nel solo mese di agosto hanno fatto registrare un aumento del 7,5% rispetto all’anno precedente, per un valore di 103 milioni di euro.
La situazione nella Ue
A spingere verso l’alto il mercato suinicolo italiano è però anche il buon andamento dei prezzi negli altri Paesi. In Francia il mese di novembre ha visto salire il prezzo dei suini del 4,8% rispetto al mese precedente. Incrementi analoghi si sono poi registrati in Germania (+4,5%) e nei Paesi Bassi (+4,1%). Al contrario la Spagna si avvia ad una chiusura del 2011 con il segno meno davanti.
E’ la Germania, con una media 1,63 euro/kg, a detenere il primato per i prezzi più alti, seguita da Danimarca (1,46 euro/kg) e dalla Francia (1,41 euro/kg). Prezzi che si riferiscono a suini leggeri, visto che la produzione del suino pesante è una “specialità” tutta italiana. Si scopre così che i nostri suini pesanti “costano” come quelli leggeri di importazione, motivo per il quale le industrie hanno convenienza a rifornirsi “in loco”, acquistando suini pesanti italiani, certamente di migliore qualità per la trasformazione, piuttosto che importare suini e cosce leggere.
Produzione in aumento
Tutto bene dunque? Sì, ma potrebbe non durare. In Italia, come evidenzia il rapporto del Crefis, si è avuto da inizio anno un sensibile calo delle macellazioni che si sono ridotte di oltre il 16%. La minore offerta, come sempre, è un ottimo “tonico” per il mercato, prima oppresso da un eccesso di prodotto. Ma negli altri Paesi della Ue si sta però assistendo al fenomeno inverso. I dati riferiti allo scorso mese di agosto fanno segnare un incremento di quasi il 7% rispetto all’anno precedente. A guidare la corsa all’aumento troviamo la Spagna (il cui mercato è in sofferenza) e la Polonia. Sopra le media della Ue ci sono poi la Francia (+8,7%) e la Germania (+7%). Se queste tendenze saranno confermate non è difficile ipotizzare una flessione dei prezzi, che inevitabilmente finirebbe con il ripercuotersi sul mercato italiano.
Ottimizzare le performance
Per gli allevamenti resta dunque di fondamentale importanza insistere sul miglioramento delle performance produttive al fine di ottimizzare i rendimenti e abbassare i costi di produzione, perché la sfida con le produzioni degli altri paesi della Ue resta aperta. Una sfida che ci vede penalizzati perché allevare suini pesanti è inevitabilmente più costoso rispetto alla produzione di suini leggeri. E presto ci sarà da fare i conti con la Direttiva nitrati e con le tensioni sui mercati dei cereali, mai sopite. Insomma, il mercato va meglio, ma non per questo si può ”abbassare la guardia”.”
Angelo Gamberini – agronotizie.imagelinenetwork.com
Zootecnia, efficienza e crescita dei consumi
Dal rapporto Fao emerge che il consumo di carne crescerà di circa il 73% entro il 2050. Necessari nuovi sistemi d’allevamento rispettosi dell’ambiente
Fao, la zootecnia nel mondo. La crescita della popolazione e del reddito mondiale stanno alimentando un trend di progressivo aumento del consumo pro-capite di proteine animali nei Paesi in via di sviluppo, riferisce il rapporto World Livestock 2011: Lvestock in food security (La Zootecnia nel mondo 2011).
Si stima che il consumo di carne crescerà di circa il 73% entro il 2050, mentre il consumo di prodotti caseari salirà del 58% rispetto ai livelli odierni.
Gran parte della domanda futura di prodotti d’allevamento – in particolare nelle aree metropolitanee in espansione, in cui si concentra la maggior parte della crescita della popolazione – verrà soddisfatta dall’uso di sistemi d’allevamento intensivo su larga scala, afferma il rapporto Fao.
“Allo stato attuale, non esistono alternative tecnicamente o economicamente fattibili alla produzione intensiva per realizzare l’offerta di prodotti alimentari zootecnici necessaria a soddisfare i bisogni delle città in espansione”, sostiene il rapporto.
Ma tali sistemi sono fonte di preoccupazione sia per il loro impatto ambientale, come l’inquinamento delle falde acquifere e l’emissione di gas serra, sia in quanto potenziali incubatori di malattie, segnala il rapporto, avvertendo che “una sfida inderogabile è quella di rendere la produzione zootecnica intensiva più sostenibile a livello ambientale”.
Secondo la Fao, allo stato attuale delle conoscenze e della tecnologia vi sono tre modi di farlo: ridurre il livello di inquinamento prodotto dagli scarti e dai gas serra; ridurre la quantità di acqua e cereali necessaria a produrre ogni dato ammontare di proteine animali e riciclare i sotto-prodotti agro-industriali tra le popolazioni di bestiame.
Maggiore efficienza per soddisfare la domanda
La crescita della produzione zootecnica degli ultimi 40 anni è stata dovuta all’aumento del numero dei capi di bestiame allevati.
Ma “è difficile immaginare di poter soddisfare la crescente domanda prevista in futuro allevando il doppio del pollame, l’80% in più di piccoli ruminanti, il 50% in più di bovini e il 40% in più di suini, e continuando a sfruttare lo stesso livello di risorse naturali di adesso”, afferma il rapporto Fao.
Al contrario, gli aumenti produttivi dovranno scaturire da una maggiore efficienza dei sistemi zootecnici nel convertire le risorse naturali in cibo e nel ridurre gli sprechi.
Fonte: Fao – Food and Agriculture Organization of the United Nations