Fabio Tonacci, Repubblica. «La storia del Veneto investito dalla variante inglese del virus non è confermata, dubito che possa essere quella la causa del disastro». Il microbiologo e professore a Padova Andrea Crisanti non è uomo che gira attorno ai concetti. Quanto ha dichiarato a Repubblica il governatore leghista Luca Zaia, come spesso accade, non lo trova d’accordo. Il Veneto è stato indubbiamente l’esempio virtuoso di contenimento della pandemia durante la prima ondata, ora è la regione con l’incidenza positivi/abitanti peggiore d’Italia. A ieri: 2.585 ricoverati con sintomi e 355 in terapia intensiva, in leggero aumento rispetto a sabato; il conteggio dei morti arrivato a 7.389 contro i duemila della prima fase. I genetisti dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie hanno sequenziato nel territorio regionale otto ceppi diversi del virus, uno dei quali — sostengono Zaia e il suo Direttore generale della sanità Luciano Flor — è la famigerata e altamente contagiosa variante inglese.«Può essere il fattore x che spiega perché abbiamo così tanti malati», ha detto il governatore. Crisanti non è di questo avviso. Guarda il video di Crisanti a Radio Capital
Perché è così scettico?
«Ho visto il documento dell’Istituto zooprofilattico, datato 24 dicembre.
Primo: la variante inglese non è stata veramente trovata. Secondo: per dire che una variante genetica del virus sta provocando un’incidenza così alta (927 positivi ogni 100.000 abitanti, ndr) e quel numero di malati devi dimostrare che è maggioritaria rispetto alle altre. I casi studiati nel report sono pochi per fare questa deduzione. È come se in Sicilia trovi un ragazzo biondo e ne deduci che tutti i siciliani sono biondi».
Come fa a dire che in Veneto non c’è il ceppo britannico?
«La variante inglese si distingue per 24 mutazioni del genoma rispetto al ceppo di Wuhan. L’Istituto zooprofilattico ha sequenziato il genoma rilevato su 26 tamponi, e in nessun caso ce n’è uno uguale al 100 per 100 a quello inglese. Alcuni pezzetti corrispondono, ma non nella loro interezza.
Hanno trovato mutazioni simili, ma non uguali».
Zaia dice di aver ricevuto la notizia della scoperta del ceppo inglese la notte di Natale. Può essere avvenuta immediatamente dopo la pubblicazione del report.
«È un’ipotesi, sì. Ma due o tre casi statisticamente non spiegano dati epidemiologici così drammatici. In Inghilterra la percentuale di contagiati dalla variante è passata dal 10 all’80 per cento nell’arco di un mese. Lì sì che c’è quel problema. In Italia, al momento, no».
Hanno trovato anche due varianti autoctone in Veneto. Possono aver influito?
«Non si può dire prima di aver dimostrato che sono predominanti e hanno un vantaggio selettivo».
Allora perché la seconda ondata ha investivo il Veneto in modo maggiore rispetto ad altre regioni?
«Tra le cause metto il fatto che hanno usato tamponi rapidi per testare personale medico e delle Rsa. Tre volte su dieci danno un falso negativo».
Lo sta dicendo da settimane, però il ministero li ha equiparati, a certe condizioni, ai molecolari, e anche lei ne sta facendo un uso intensivo in Sardegna, chiamato come consulente dalla Regione. Se sono poco affidabili in Veneto, lo sono anche in Sardegna.
«Io li uso per fare screening sulla popolazione dell’Ogliastra, non su chi deve entrare in una Rsa o in un ospedale. Abbiamo sottoposto 35 mila sardi a test do ppio con antigenici di ultima generazione, i più attendibili. È ben diverso».
Difficile pensare che sia tutta colpa dei test rapidi, che seppur con qualche difetto hanno portato alla scoperta di molte positività. Altre cause?
«Il fatto che è il Veneto è rimasto sempre zona gialla».
Come il Lazio. Che però non ha così tanti morti e malati.
«PerchénelLazioriesconoancora a fareunlivello accettabiledi contact tracingeutilizzanoinmodopiùoculato itestmolecolari. IlVeneto ha cifreche nontornano:in alcuni giorniregistrano 160morti eppurecisono‘solo’350-370 pazienti interapia intensiva.In proporzioneai decessi,dovrebbero esseremoltidi più.C’è da chiedersi dovemuoianoquestepersone».
Tra lei e Zaia non corre buon sangue, è noto. Non è che, per questo rapporto personale complicato, il suo giudizio è troppo severo?
«Non ho il dente avvelenato. Parlo da scienziato. Una settimana fa gli ho scritto per dirgli che sono disponibile a dare una mano».
Crede che la Regione abbia orchestrato una campagna stampa di discredito nei suoi confronti, come sostiene un articolo uscito di recente sull’ Espresso ?
«Non ho commenti da fare».