Alcuni cuccioli erano grandi la metà delle pantegane che gli giravano attorno. Hanno meno di un mese, quei cuccioli. E finora hanno zampettato solo in mezzo ai loro escrementi e all’immondizia tra cui sono nati. Le loro madri – le fattrici – hanno l’utero sfondato a furia di partorire. Altri cani hanno le ossa fratturate. Qualcuno ha ferite che sono state suturate. Quasi tutti hanno problemi di micosi e parassitosi interne ed esterne. Molte sono cagne, usate come «incubatrici» per produrre quelli che magari fossero stati trattati come animali. Neanche quello. Solo carne buona da vendere, con tanto di truffa.
Tutti gli animali sono stati visitati dal veterinario ausiliario di polizia giudiziaria, che ha riscontrato diverse patologie e traumi a carico di alcuni animali, ad esempio fratture che potrebbero essere la conseguenza di maltrattamenti pregressi.
«In oltre quarant’anni di servizio non ho mai visto una cosa del genere». Basterebbero le parole del comandante provinciale del Corpo Forestale dello Stato Isidoro Furlan, per descrivere quello che gli agenti del nucleo investigativo di polizia ambientale si sono trovati davanti quando sono entrati in quello che era un vero e proprio «lager» animale in via Sasse, a San Michele. A far intervenire il Corpo Forestale sono stati i volontari della Lav,la lega anti vivisezione, a loro volta avvisati da alcuni residenti che in particolare di notte sentivano latrati e guaiti. «Sembra che qualcuno picchi degli animali», raccontavano in quelle segnalazioni. Ma in quel terreno, in via Sasse, di giorno nulla traspariva. Tutto ovattato sotto metri di teli. A coprire quello che era in realtà un allevamento clandestino. Ma anche per evitare che i lamenti di quegli animali venissero sentiti. E per questo quei cani e anche dei gatti venivano tenuti al buio tutto il giorno. Mentre la notte restavano svegli per evitare che quei topi li mordessero.
«Ratti così grossi – ha detto Furlan – non li ho mai visti neanche sulle rive dell’Adige». Perché quelle pantegane lì avevano trovato una sorta di El Dorado. Rifiuti di ogni genere, a partire dai sacchi di mangime buttati nelle gabbie. Già, quelle sette gabbie. In realtà sette recinti, tirati su con materiale di risulta, arrugginito. Con gli ingressi sprangati. È lì che sono stati trovati 19 Pinscher, tra cui 7 cuccioli di meno di un mese, 4 Chihuahua ,7 pastori tedeschi tra cui due cuccioli, quattro Labrador, 6 cuccioli meticci e 4 gatti siamesi. A muoversi tra le loro deiezioni, a mangiare dai sacchi buttati, a bere acqua contaminata. Quelli che l’acqua ce l’avevano. Imbrattati di pulci e zecche, in quel campo a ridosso dell’Adige che era stato preso in comodato d’uso da una donna trentina, una cinquantenne che poi quegli animali li vendeva stando ben attenta a non far andare nessuno al suo «canile», ma portandoli lei a casa di chi li pagava anche 1.500 euro.
Lei che in quel posto neanche abitava, ma si avvaleva di un «aiutante», la cui posizione è al vaglio degli investigatori. «Nemmeno la Crudelia De Mon della Carica dei 101 era un’aguzzina del genere», hanno detto gli agenti della Forestale che l’hanno denunciata per maltrattamento degli animali e detenzione incompatibile di animali. Ma lei, al momento, è irreperibile.
Intanto i cani sequestrati sono stati affidati alle cure dei volontari della Lav. Sono stati visitati e curati da un veterinario e adesso sono tutti alla ricerca di una casa. «Sono animali – ha spiegato Lorenza Zanaboni presidente provinciale della Lav – che hanno sofferto e che hanno bisogno di cure. Qui non si tratta di una semplice “adozione”, per cui la loro sistemazione sarà vagliata e seguita attentamente». E la cosa vale anche per i quattro gatti siamesi. In particolare per quelle fattrici, ormai avanti con l’età. «Vogliamo fare in modo che almeno i loro ultimi anni siano sereni». Alcuni dei cuccioli erano stati nascosti, tra l’immondizia. Gli agenti della Forestale li hanno trovati per caso, solo dopo aver sentito dei guaiti.
E adesso le case dei volontari della Lav sono piene. Fino a quando gli animali di via Sasse non saranno sistemati, non c’è la possibilità – nella zona di Verona – di accoglierne altri. Senza contare i costi del loro mantenimento. Chi volesse aiutare i volontari può fare riferimento al sito lav.verona@lav.it. «Il problema di questi “allevamenti” è il fatto che molta gente vuole avere cani di razza a prezzi minimi. Li comprano ovunque, su internet e dove capita, senza verificare come sono allevati. Ci sono i canili pieni, chi vuole un cane può andare a prenderlo lì…». Anche perché i cani di via Sasse non hanno alcun documento che ne certifichi la razza. Sono, sostanzialmente, dei «meticci». Perché senza l’iscrizione all’Enci la loro «genia» non ha alcun valore. Le indagini sul canile lager proseguono. Si stanno verificando altre ipotesi di reato a carico della donna, anche dal punto di vista fiscale. Perché tutto, dall’allevamento alla vendita, avveniva rigorosamente in nero. E adesso spetterà alla guardia di finanza capire quali reati siano stati commessi. Oltre a quelli, assolutamente inumani, di aver ridotto in quelle condizioni degli animali indifesi.
Angiola Petronio – Il Corriere del Veneto – 14 novembre 2014