Politica dei bonus addio? È il domandone dell’estate, dato il contesto economico deteriorato e in vista dell’autunno caldo istituzionale- finanziario. Se per bonus intendiamo l’intervento spot, una tantum, “elettorale”, come lo traducono gli oppositori del governo, quello insomma che riempie slide e tweet, forse la prossima legge di bilancio dovrà mettersi a dieta. Non che gli effetti delle misure di Renzi siano stati nocivi. Tutt’altro. Senza bonus, concordano gli economisti, quel poco di crescita riacciuffata dall’Italia semplicemente non ci sarebbe stata. Ma il libro dei sogni pare ora scontare la dura realtà dei numeri.
Chiamarli bonus d’altro canto è ingeneroso. Dagli 80 euro all’abolizione Irap, dalla cancellazione della Tasi all’innalzamento della no tax area per i pensionati, persino lo sconto di 13 euro e cinquanta centesimi sul canone Rai, parliamo di misure ormai strutturali.
Accompagnate però da altrettante iniziative con data di scadenza. Il bonus bebè, la card da 500 euro ai diciottenni (ancora non partita), il superammortamento, il credito di imposta al Sud, la detassazione dei premi di produttività tanto per fare un esempio, sono già finiti nella lista dei desideri. Il premier vuole riconfermarli. Ma tutti o quali, e per quanto? E quale impatto assicurano? Buono sulle famiglie, scarso sulle imprese, «troppo impaurite dagli shock, ce n’è ormai uno al giorno», conferma l’economista Giacomo Vaciago. D’altro canto la politica di bilancio degli ultimi anni è sembrata alla fine neutrale, i tagli di spesa a compensare i bonus.
Senza dubbio i 10 miliardi all’anno degli 80 euro sono finiti nei consumi, al 90% dice Bankitalia. Undici milioni di italiani li hanno presi e spesi (tranne quelli che l’hanno restituito).
E non c’è dubbio che gli altri 80 euro messi da gennaio nelle buste paga di mezzo milione di militari abbiano risollevato il morale delle truppe (mezzo miliardo di spesa). Forte del successo, il governo è pronto a riprovarci con i pensionati al minimo, che però sono quasi quattro milioni. Ci vorrebbero 4 miliardi. Bye bye 80 euro senior? Il ciaone per ora è riservato solo ad Equitalia.
Che fare poi con la decontribuzione e con la lotta alla povertà? Gli sconti sul lavoro hanno funzionato quando erano pieni, l’anno passato. Già quest’anno la spinta alle assunzioni stabili si è affievolita. E sul piano per i poveri la coperta è corta, i bisogni molto (o troppo) estesi. E poi ci sono gli annunci. Il cantiere pensioni pullula di ottime intenzioni. Accanto all’Ape, il prestito pensionistico per chi vuole uscire prima (con un occhio a lavoratori usuranti e precoci e alle ricongiunzioni gratuite), spunta anche un aiuto alle pensioni più basse. Si va dalla (mini) quattordicesima all’ampliamento della no tax area, passando per i fatidici 80 euro agli assegni al minimo. Se si volesse far tutto, non basterebbero 5-6 miliardi. Ma sicuri sono solo i 5-600 milioni per l’Ape.
In fila finiscono l’Irpef, difficile se non impossibile anticiparne il taglio al 2017. Il bollo auto da eliminare, come promesso da Renzi (ma costa 6 miliardi!). Gli incapienti da risollevare (sono fuori dagli 80 euro, come i pensionati). E il ceto medio da rivitalizzare. Di certo c’è solo il taglio Ires di 3 miliardi, già stanziato. Il resto si vedrà. «Se il governo continua solo a sostenere i consumi non andiamo da nessuna parte, ora serve una politica industriale per favorire gli investimenti», suggerisce Vaciago. «Brexit, Nizza, Bangladesh: le imprese sono sfiduciate. Un altro mese così e siamo a Pil zero. È ora di correre».
Repubblica – 24 luglio 2016