Ministro della Pubblica amministrazione Giampiero D’Alia, come giudica lo stato di salute del governo di cui fa parte? «Mi preoccupa di più lo stato di salute del Paese. C’è bisogno di stabilità e di un governo che ci faccia uscire definitivamente dalla crisi».
Le cronache riferiscono che però rischiate grosso… «Tutto si risolverebbe con un po’ di ragionevolezza in più. Qui tutti parlano, pontificano; siamo diventati tutti giuristi costituzionali. Ma non è così: la Giunta per le elezioni del Senato è la sede in cui avviare una discussione seria e qualificata sull’applicazione della legge Severino per il presidente Berlusconi. Qualche esponente del Pdl ha chiesto di evitare che la discussione in Giunta del 9 settembre sia un mero adempimento formale, ma l’occasione per un vero approfondimento tecnicogiuridico della questione: è una richiesta di buonsenso. Si consenta alla Giunta delle elezioni del Senato di fare il suo lavoro con serenità; certo, se questo non nasconde la volontà di andare a un voto anticipato».
E se, nonostante tutto, ci sarà una crisi di governo? Si va a votare, o cosa? «Tutti sanno che non si può andare al voto con questa legge elettorale, su cui a dicembre si pronuncerà, penso criticamente, anche la Consulta. Tutti sanno che entro l’anno va varata e poi approvata la legge di stabilità, fondamentale per il rilancio dell’economia. Sono scadenze oggettive, su cui posa l’interesse generale del paese. Qualunque cosa si pensi del governo o della vicenda che riguarda il presidente Berlusconi».
In Consiglio dei ministri lei sta per presentare un pacchetto di provvedimenti che potrebbe essere azzerato dalla crisi… «Noi ovviamente abbiamo il dovere di andare avanti e lavorare. A parte le norme di semplificazione amministrativa, importanti specie per le imprese, il Consiglio affronterà il tema dei contratti a termine nelle pubbliche amministrazioni che hanno scadenza al 31 dicembre 2013. A regime, da un lato proponiamo soluzioni per evitare che si possa ricreare del nuovo precariato nella pubblica amministrazione: ad esempio, precisando in modo chiaro quando si può ricorrere al lavoro flessibile, e cioè in casi eccezionali, pena l’annullamento delle assunzioni irregolari. E stabilendo sanzioni amministrative e contabili nei confronti dei dirigenti che violassero questi principi. Sull’altro versante, variamo procedure selettive che per il 50% saranno riservate a quei lavoratori che per almeno tre degli ultimi cinque anni abbiano svolto prestazioni professionali nella pubblica amministrazione».
Concorsi speciali “mirati” o sarà una sanatoria pura e semplice? «Non è una sanatoria, o una stabilizzazione automatica. Ci saranno dei concorsi per valutare se e quante di queste persone sono necessarie alle amministrazioni e meritano di essere inserite nel circuito del lavoro pubblico nell’arco di un triennio. Il tutto nell’ambito delle disponibilità finanziarie delle singole amministrazioni. Quindi, senza aumenti di spesa».
Di quante persone stiamo parlando? L’operazione riguarderà anche i «cocopro»? «Oggi i contratti a termine (meno la scuola, che non è interessata a questo provvedimento) sono circa 130mila. I collaboratori non sono coinvolti, parliamo di chi ha un rapporto più stabile. Se poi il Parlamento propone modifiche e integrazioni, noi siamo aperti».
E poi volete tagliare le spese per autoblu e consulenze. «Proponiamo un nuovo giro di vite su autoblu, auto di servizio e consulenze, con ulteriori risparmi e sanzioni. Premesso che una parte rilevante delle amministrazioni, circa il 25-30%, non comunica ancora i dati, oggi i costi per queste voci sono assolutamente troppo alti: oltre un miliardo di euro, rispettivamente».
Nei giorni scorsi si era anche parlato di un suo piano per tagliare 200mila posti di lavoro nel “pubblico”. È così? «Non c’è alcun piano di tagli o licenziamenti per duecentomila statali. Nel decreto ci sono norme che riguardano piuttosto il personale anche delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, che sono almeno 7-8mila. Anche qui i dati disponibili sono pochissimi e inadeguati. Pensiamo di andare a un censimento di questo personale, e consentiremo che per gli enti in dissesto si possa intervenire con piani di ristrutturazione e esodi volontari. Ma parliamo di numeri assai contenuti».
La Stampa – 23 agosto 2013