Uno studio di Harvard quantifica i danni del “presenteeism”, quando ci si presenta al lavoro ma non si produce per troppa stanchezza. E le grandi compagnie iniziano i corsi di “igiene del riposo” per i loro dipendenti
Quando un collega fa la pennichella sul tavolo, o un dipendente vi chiede di andare a casa per dormire, non fate la faccia storta e cercate di assecondarli. La mancanza di sonno, infatti, costa alle aziende americane oltre 60 miliardi di dollari all’anno. E’ il sorprendente risultato di una ricerca pubblicata dalla Medical School della università di Harvard, che riporta l’attenzione su un problema tanto importante, quanto trascurato.
Secondo i Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta, oltre 40 milioni di americani, cioé il 30% della forza lavoro civile, non dormono abbastanza. Il 43% raramente dorme tutta la notte durante la settimana, il 60% denuncia problemi di sonno come svegliarsi nel mezzo del riposo o troppo presto la mattina, e il 23% soffre d’insonnia. I motivi variano: eccessivo impegno sul lavoro, conference call notturne, l’uso di computer e tv poco prima di andare a letto, che con la luminescenza degli schermi compromettono la produzione di melatonina. E poi il consumo eccessivo di caffeina e altre ragioni personali. Il risultato è che il 74% degli americani che non dorme abbastanza dice di subirne poi le conseguenze sul lavoro, con prestazioni non soddisfacenti.
L’università di Harvard ha cercato di calcolare l’impatto di questo problema sulla produttività, e ha scoperto che nel solo 2011 la mancanza di sonno ha fatto perdere alle aziende Usa 63,2 miliardi di dollari. Grosso modo un paio di vecchie finanziarie italiane, per capirsi. La causa principale di queste perdite sta nel fenomeno chiamato “presenteeism”, ossia persone che si presentano regolarmente al loro posto, ma poi lavorano peggio o più lentamente perché sono stanche. Basti pensare che secondo uno studo della Singapore Management University, i dipendenti perdono in media 8,4 minuti in più nelle loro attività online, per ogni ora di sono interrotto la notte precedente. Giornate di lavoro bruciate, alla fine dell’anno, a causa di questo problema.
Le aziende ormai lo sanno e stanno correndo ai ripari, anche perché la questione non riguarda solo la produttività. In settori come la sanità, o nelle fabbriche dove si fanno turni notturni con macchinari pericolosi, un errore generato dalla stanchezza può provocare incidenti che fanno morti e feriti.
Per troppo tempo, almeno nelle compagnie americane, è passata l’idea che il sonno fosse una roba riservata ai fannulloni. Dai grandi manager ai super banchieri, il messaggio che arrivava era la necessità di imparare ad operare in maniera efficace con cinque o sei ore di riposo, cioé meno di quanto raccomandano i medici. Chi voleva dormire di più era uno scansafatiche da emarginare. Ora, anche grazie a questi studi, la cultura sta cambiando: meglio un’ora di sonno in più, che un dipendente stanco e poco produttivo tutta la giornata. Così grandi compagnie come Procter & Gamble, Goldman Sachs o Aurora Health Care hanno cominciato a tenere corsi per i dipendenti che insegnano l’igiene del riposo. Queste iniziative servono a spiegare quanto bisognerebbe dormire e come, puntando a cambiare le abitudini sui tempi e le modalità del lavoro, ma soprattutto quelle tenute poi a casa nel tempo libero. Così i dipendenti vanno via negli orari giusti, tornano riposati, e funzionano. Se però le cose non vanno così e le persone arrivano comunque stanche, molte compagnie si stanno attrezzando per avere spazi pennichella di emergenza, perché è sempre meglio avere una persona sdraiata per mezzora, che un incidente o un lavoratore con la spina staccata per tutta la giornata.
La Stampa – 27 gennaio 2013