È previsto per oggi pomeriggio il via libera “solenne”, con la dichiarazione di voto in favore anche da parte dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a nome del gruppo Autonomie del Misto al quale ora appartiene, al Ddl Boschi che abolisce il Senato elettivo e riforma il Titolo V della Costituzione mettendo ordine nei rapporti tra Stato e Regioni.
Già, perché il voto di oggi consegna con tutta probabilità il testo definitivo che sarà sottoposto al giudizio degli elettori nell’autunno del 2016. Il secondo sì della Camera, infatti, dovrebbe avvenire entro Natale senza intoppi e senza ulteriori modifiche visti i numeri di cui gode la maggioranza a Montecitorio. Dopodiché, trascorsi i tre mesi di “riflessione” previsti dalla Costituzione, la seconda e definitiva doppia lettura delle Camere consiste in un sì o in un no secco all’intero provvedimento senza possibilità di emendare ulteriormente. A maggioranza assoluta dei componenti, certo, ma visto come sono andate le cose a Palazzo Madama in questi giorni (quasi sempre sopra il quorum dei 161 a scrutinio palese) da Palazzo Chigi si considera la partita praticamente per chiusa.
Eppure fino al 23 settembre, giorno dell’accordo all’interno del Pd tra minoranza bersaniana e maggioranza renziana sul nodo dell’elettività dei senatori, questo passaggio in Senato appariva difficilissimo, se non impossibile, e lo stesso Matteo Renzi aveva fatto capire informalmente che in caso di affossamento delle riforma l’unica alternativa sarebbero state le urne anticipate. Poi l’apertura sul comma 5 dell’articolo 2, unico comma modificabile secondo il principio della doppia copia conforme, e l’approvazione dell’emendamento Finocchiaro (poi Cociancic): saranno i cittadini a “scegliere” chi tra i consiglieri regionali ricoprirà anche il ruolo di senatore, anche se formalmente saranno i Consigli regionali ad eleggere i consiglieri-senatori.
La legge ordinaria che stabilirà i paletti all’interno dei quali dovrà avvenire la “scelta” dei futuri senatori dovrà essere approvata – come ha poi stabilito una modifica alla norma transitoria – entro sei mesi dall’entrata in vigore della riforma, ed entro 90 giorni le Regioni dovranno adeguarsi. Quindi c’è tecnicamente il tempo affinché il primo Senato delle Autonomie abbia già dei senatori “scelti” dagli elettori. Eppure questi termini – come fa notare il costituzionalista Stefano Ceccanti – sono «ordinatori» e cioè non vincolanti dal momento che non è prevista sanzione. Per attendere che la riforma entri in vigore bisogna far trascorrere tre mesi per la raccolta delle firme in vista del referendum confermativo, e se questo verrà chiesto come per altro ha già annunciato il governo i tempi si allungheranno di altri tre mesi. Prevedendo l’ultimo doppio via libera delle Camere ad aprile, il referendum potrà tenersi in autunno. A quel punto entro nove mesi dovrebbe essere applicabile anche la legge ordinaria sulle modalità di elezione dei senatori e dunque, se la legislatura finirà al suo termine naturale ossia nella primavera del 2018, alcune Regioni riusciranno ad eleggere i consiglieri-senatori con la modalità della “scelta” da parte degli elettori: la Sicilia andrà al voto nell’autunno del 2017, e ben 5 Regioni (Lazio, Lombardia, Molise, Val d’Aosta e Friuli) nella primavera del 2018 in concomitanza con le politiche. Per il resto i senatori “scelti” andranno a sostituire quelli eletti dai Consigli regionali a tappe, via via che le altre Regioni andranno al voto.
Il ricompattamento della maggioranza degli ultimi giorni ha avuto l’effetto di dividere le opposizioni: se la Lega ha già annunciato l’Aventino, Forza Italia è divisa in tre (chi vuole seguire la Lega, chi vuole restare in Aula e votare no e chi addirittura vuole votare sì) e solo stamane, a ridosso del voto, Silvio Berlusconi tenterà la quadra in una riunione con i suoi senatori.
Emilia Patta – Il Sole 24 Ore – 13 ottobre 2015