di Andrea Bassi. Il dibattito si può considerare chiuso. O quasi. A mettere la parola fine a qualsiasi ipotesi di estensione del nuovo articolo 18 modificato dal Jobs act del governo Renzi anche ai lavoratori del pubblico impiego, è stato il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia. Parlando a margine della Commissione Affari costituzionali del Senato, il ministro ha spiegato che per gli statali ci deve sempre essere «la possibilità di reintegro» in caso di licenziamento illegittimo, «anche perché», ha aggiunto, «si licenzia con i soldi di tutti». Insomma, a differenza del lavoro privato, in quello statale il reintegro nel posto di lavoro deve rimanere la regola e non l’eccezione. Il tema riguarda soprattutto i licenziamenti disciplinari. Su questi il governo depositerà una proposta di emendamento all’articolo 13 della legge delega slittato alla prossima settimana per prevedere una semplificazione delle procedure già previste dalla legge Brunetta, le cui regole per i lavoratori pubblici sono state definite da Madia «già dure».
La normativa attuale, in effetti, permette di allontanare i lavoratori del pubblico impiego per una numerosa serie di ragioni. Si va dalla falsa attestazione della presenza in servizio, all’assenza ingiustificata per più di tre giorni in un biennio, all’ingiustificato rifiuto al trasferimento (adesso reso obbligatorio entro i 50 chilometri con la nuova mobilità), fino alle gravi condotte aggressive o alle molestie.
IL MECCANISMO
La legge Brunetta prevede un’ipotesi specifica anche per i cosiddetti «fannulloni», il licenziamento per scarso rendimento che lo stesso premier Matteo Renzi ha pubblicamente annunciato di voler rafforzare per i dipendenti statali. In questo caso le norme attuali prevedono che il lavoratore possa essere messo alla porta se riceve una valutazione insufficiente del rendimento per almeno un biennio. Ieri il ministro Madia ha sottolineato come uno dei passaggi fondamentali della delega e dei provvedimenti attuativi, sarà proprio quello di rafforzare e rendere davvero operativi i meccanismi di valutazione che fino ad oggi sono rimasti sulla carta. Il punto centrale, tuttavia, non sono tanto i licenziamenti legittimi, ma quelli illegittimi. Su questi ultimi le differenze tra pubblico e privato rimarranno. Nel caso del privato il reintegro nel posto di lavoro ci sarà soltanto se il fatto materiale di cui è accusato il lavoratore è falso. In tutti gli altri casi il rapporto di lavoro sarà sciolto e il dipendente avrà solo diritto ad un indennizzo crescente in base all’anzianità di servizio fino ad un massimo di 24 mensilità. Per gli statali, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo da un giudice, ci sarà invece sempre il reintegro nel posto di lavoro. A differenza dei lavoratori privati, inoltre, per il dipendente pubblico non è mai possibile il licenziamento individuale per motivi economici, mentre sono possibili modalità di esubero collettive, come nel caso delle Province. I dipendenti pubblici messi in mobilità hanno diritto per due anni a ricevere l’80 per cento della retribuzione e, se non vengono ricollocati all’interno della Pubblica amministrazione, il rapporto di lavoro viene sciolto. (Il Messaggero)
Riforma Pa, riordino dei licenziamenti disciplinari. A giorni l’emendamento del relatore. Madia: nel pubblico impiego la regola è il reintegro
Sul tema dei licenziamenti nella Pa verrà presentato un emendamento dal relatore, Giorgio Pagliari (Pd), concordato con il governo, al Ddl di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche che è all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato. La direzione di marcia, secondo quanto ha anticipato ieri lo stesso ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia, è quella di una «semplificazione della normativa, sia sui procedimenti disciplinari, sia su tutto il tema della valutazione» dei dipendenti pubblici. Il pubblico impiego non è stato toccato dal Jobs act che nel privato ha ridotto fortemente la tutela reale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sostituendo nella maggioranza dei casi la reintegra con il pagamento di un indennizzo. Il comparto pubblico era stato escluso anche dalla precedente modifica dell’articolo 18 operata dalla legge Fornero nel 2012, con la conseguenza che qualora il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento scatta la tutela reale garantita dal già citato articolo 18 della legge 300 del 1970.
L’emendamento delega il governo a riordinare il procedimento disciplinare anche nel pubblico. Per il ministro Madia affermare il reintegro quale regola generale nel pubblico «non significa che non si può licenziare», infatti «i licenziamenti già ci sono» nella Pubblica amministrazione, quello che serve è «snellire i procedimenti».
L’attenzione è focalizzata sulle difficoltà d’attuazione del Dlgs 150 del 2009: «Nell’ambito dei disciplinari la normativa Brunetta credo sia dura – ha aggiunto Madia – e ha anche inserito lo scarso rendimento come criterio per la licenziabilità». Il governo intende approvare al Senato entro febbraio-marzo il Ddl che si compone di 16 articoli e 10 deleghe, i tecnici di palazzo Vidoni sono al lavoro sui decreti attuativi per stringere sui tempi d’emanazione, come è stato fatto per il Ddl Jobs act.
La modifica al testo Madia
Il Jobs act ha introdotto una riduzione della tutela reale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: nella maggior parte dei casi la reintegrazione del lavoratore è sostituitadal pagamento di un indennizzo. La novità, però, ha riguardato il settore privato ma non il comparto pubblico
La prossima settiimana verrà presentato un emendamento (concordato con il Governo) al Ddl di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. L’obiettivo, ha chiarito il ministro della Pa Marianna Madia, è semplificare la normativa che riguarda anche i procedimenti disciplinari (Il Sole 24 Ore)
Nella Pa la regola è il reintegro. Niente indennizzo per i licenziamenti disciplinari illegittimi. Madia: non servono nuove norme nella delega Pa
di Francesco Cerisano. In caso di licenziamento disciplinare illegittimo nella Pa la regola generale sarà sempre il reintegro nel posto di lavoro. Il pubblico impiego continuerà dunque ad avere uno status privilegiato rispetto al lavoro privato per cui il digs attuativo del Jobs act (legge delega n. 183/2014) prevede di norma il solo indennizzo economico con l’unica eccezione dell’ipotesi in cui il lavoratore riesca a dimostrare in giudizio «l’insussistenza del fatto contestato». Solo in questo caso nel privato si avrà ancora diritto al reintegro. Il chiarimento è arrivato ieri direttamente dal ministro della funzione pubblica, Marianna Madia che ha parlato in commissione affari costituzionali del senato dove è in corso l’esame della delega sulla riforma della Pa. I dipendenti pubblici potranno quindi continuare a beneficiare della cosiddetta «tutela reale» (il reintegro sul posto di lavoro). Anche perché, ha spiegato il ministro, «tra lavoro pubblico e privato ci sono delle differenze oggettive» e gli indennizzi verrebbero pagati «con i soldi di tutti», mentre nel privato i costi sono a carico degli imprenditori. Il ministro ha quindi confermato la volontà del governo di non introdurre nessuna norma restrittiva in materia di licenziamenti nella legge delega che ha ripreso l’iter in commissione dopo lo stop reso necessario per velocizzare i lavori sulla riforma della legge elettorale.
Oggi scade il termine per depositare gli emendamenti che il relatore Giorgio Pagliari (Pd) concorderà col governo. Ma, come annunciato, non ci saranno novità sui licenziamenti. Le norme, infatti, secondo l’esecutivo ci sono già. Basta solo applicarle. E la via da seguire è come sempre la semplificazione. Dei procedimenti disciplinari, così come di quelli in materia di valutazione. «Nell’ambito dei licenziamenti disciplinari», ha chiarito il numero uno di palazzo Vidoni, «la normativa Brunetta è già dura e prevede lo scarso rendimento come criterio per la licenziabilità». Il relatore ha confermato la volontà del governo di andare avanti sul ruolo unico della dirigenza pubblica previsto dall’articolo 10 della delega che dunque non dovrebbe subire sconvolgimenti nel suo impianto generale. Novità potrebbero invece arrivare in materia di segretari comunali che la delega punta a eliminare e a far confluire in un’apposita sezione a esaurimento del ruolo dei dirigenti degli enti locali (ItaliaOggi)
15 gennaio 2015