L’idea di far ripagare direttamente ai cittadini una quota delle anticipazioni alle Regioni con l’aumento dell’addizionale Irpef è caduta con le prime bozze del decreto sui pagamenti. Una parte del rischio fiscale cacciato dalla porta, però, può rientrare dalla finestra, soprattutto nelle Regioni impegnate in piani di rientro dall’extradeficit sanitario.
L’assegno statale per far ripartire la macchina dei pagamenti parte solo se la Regione approva «misure, anche legislative, idonee e congrue» per coprire il rimborso. Per le Regioni in lotta con il rosso della sanità, poi, resta in vigore il comma della spending review (articolo 16, comma 12-septies del Dl 95/2012) che permette di superare con l’addizionale il limite attuale dell’1,73% per arrivare fino al 2,33% (2,63% se il deficit è tale da far scattare anche le super-aliquote automatiche): il tetto salirà al 2,33% per tutti dall’anno prossimo, per attestarsi al 3,23% nel 2015. Naturalmente l’aumento dell’Irpef è l’extrema ratio per i Governatori, ma il rischio c’è. Tanto più che, fra le dieci amministrazioni alle prese con i piani di rientro, Piemonte, Campania, Sicilia e Sardegna non hanno ancora approvato i bilanci 2013, e sono in esercizio provvisorio fino al 30 aprile: proprio la data entro la quale dovranno spedire al ministero dell’Economia la richiesta delle risorse con cui liquidare i debitori. Anche chi ha i conti sanitari in ordine e chiede ai propri cittadini un’Irpef inferiore ai limiti massimi, comunque, potrebbe essere portato a ritoccare le aliquote. Il problema, ovviamente, non va letto solo nell’immediato, perché l’obbligo di rientro fissato dal decreto sui pagamenti è pluriennale e nei prossimi due anni si incrocia con una disciplina Irpef che alza progressivamente i limiti alle aliquote locali. Se si “scende” dal fisco regionale a quello comunale, la voce critica continua a essere rappresentata dall’Imu. Per la parte di debiti non coperta dalla liquidità bloccata in cassa dal Patto, anche per i sindaci c’è la strada dell’anticipo, attraverso la Cassa depositi e prestiti, che naturalmente va restituito. Modalità di richiesta e di erogazione saranno stabilite in questi giorni, ma un fatto è certo: chi salterà una rata di ammortamento si vedrà trattenere una quota equivalente dalle proprie entrate Imu. La previsione piomba su un terreno già colpito da numerosi interventi centrali sul gettito, rivolti sia ai Comuni che sforeranno il Patto sia a quelli che dovranno contribuire al «Fondo di solidarietà» in aiuto degli enti con minore capacità fiscale. Sulle entrate Imu, insomma, si addensa una serie crescente di incognite che potranno contribuire a gonfiare ancora le aliquote in via prudenziale: per far crescere l’acconto c’è tempo fino al 9 maggio, ma per riportare in equilibrio i bilanci i sindaci potranno intervenire fino al 30 settembre agendo già sul saldo 2013. Nella seconda parte del decreto, poi, si affronta il capitolo Tares, il cui impatto è solo rimandato a fine anno. Oltre agli oneri diretti, secondo la Cna il caos di calendario su Imu e Tares rischia di scaricare sui contribuenti i costi legati agli adempimenti per i ricalcoli di acconti e saldo: unito alla mancata abrogazione dell’obbligo di corresponsabilità su Iva e ritenute negli appalti, per gli artigiani il pacchetto completo può costare 10 miliardi di euro.
Il sole 24 Ore – 13 aprile 2013