Luisa Grion. Il nuovo articolo 18, quello che in caso di licenziamento ingiustificato prevede l’indennizzo economico al posto del reintegro sul luogo di lavoro, non si applicherà ai dipendenti pubblici. Il governo lo metterà per iscritto, chiaro e tondo, in uno dei prossimi decreti attuativi sulla riforma della pubblica amministrazione. Varo previsto entro Natale o al massimo ai primi di gennaio. La normativa troverà spazio in uno dei tanti testi già pronti : dalle regole sulla trasparenza (che renderanno accessibili a tutti i dati della pubblica amministrazione), a quelle sulle aziende partecipate, alla conferenza di servizi. Decreto, quest’ultimo, che renderà obbligatoria (salvo rare eccezioni) la conferenza telematica e la presenza di un solo rappresentante per amministrazione, tagliando costi e tempi previsti per arrivare al risultato(dai 12 attuali a 4). Norme «per certi aspetti rivoluzionarie” aveva detto il premier Renzi.
Ora però accanto a tali novità ci sarà anche la regola scritta sulla non applicabilità alla pubblica amministrazione dell’articolo 18, che in un primo tempo doveva entrare a far parte del Testo Unico da varare in primavera.
La necessità di accelerare i tempi , esplicitando la non validità del Jobs Act per gli statali, è ritornata in primo piano dopo un recente sentenza della Corte di Cassazione (24157/2015) che ha stabilito come lo Statuto dei lavoratori (che contiene il “vecchio” articolo 18) e le successive modifiche siano invece applicabili anche alla p.a.
La sentenza si riferiva al licenziamento del dipendente di un consorzio pubblico siciliano, non valido per vizio di forma e riferito alla precedente “versione” dell’articolo 18 voluta dall’ex ministro Fornero. Ma ritiene che di conseguenza tutte le nuove norme valgano per il settore privato come per quello pubblico. Quindi – in base alla Cassazione – anche gli statali assunti dopo il 7 marzo di quest’anno sarebbero licenziabili senza reintegro.
Inevitabilmente la tensione sul punto si è subito riaccesa: il dibattito in proposito non è mai cessato, pur se sia il ministro Madia che il premier Renzi hanno sempre tranquillizzato i dipendenti pubblici sulla mancata applicabilità del nuovo rapporto di lavoro. Il fatto che gli statali siano assunti per concorso e debbano quindi seguire norme diverse – posizione da sempre espressa dal ministro della Pubblica amministrazione, ma anche dal collega Poletti – non convince un gruppo di giuristi, Pietro Ichino, senatore Pd, in primis. Il contratto a tutele crescenti è, anche nel pubblico, l’unica garanzia contro il precariato, replicano. Un trattamento diversificato per lavoratori pubblici e privati sarebbe incostituzionale.
Repubblica – 8 dicembre 2015