Con la trasformazione in legge del DL n. 90 si è persa un’altra opportunità per una riforma vera della pubblica amministrazione. Il decreto, infatti ha ben presto assunto la fisionomia di un provvedimento omnibus, nel quale lo sforzo, ostinato quanto isolato, della COSMeD ha prodotto alcune novità di rilievo (assicurazioni, programmazione regionale, scuole di specializzazione, equiparazione ospedalieri-universitari, alleggerimento del blocco turnover nelle Regioni con piano di rientro) senza però ottenere risultati in merito ad altri punti, quali l’individuazione di un’area contrattuale autonoma, preludio per una riapertura della stagione contrattuale, e la garanzia del recupero dei posti di lavoro eventualmente perduti a seguito della rottamazione (peraltro diventata una “mini-rottamazione”).
1) Assicurazioni: migliora e di molto il testo
Sancito, finalmente, l’obbligo per le aziende sanitarie pubbliche, ma anche per quelle accreditate e private, di predisporre adeguate coperture assicurative a tutela di pazienti e personale sanitario dipendente, indicando esplicitamente che tale copertura comprende anche l’attività libero-professionale intramoenia. Un grande risultato, che rispondendo alle richieste di moltissimi colleghi, specie nelle Regioni in piano di rientro, individua nelle aziende sanitarie il soggetto chiamato a rispondere degli eventi avversi imputati ai propri dipendenti non solo per obbligo contrattuale, spesso disatteso, ma anche, d’ora in poi, legislativo.
2) Scuole di specializzazione, un piccolo passo in avanti.
Ridotto dall’anno accademico 2014-2015 il numero degli anni di specializzazione, con facoltà per chi è già nella scuola di optare per il nuovo ordinamento (escluso chi frequenta l’ultimo anno), fonte di diversificazioni nell’ordinamento e possibile causa di confusione e difficoltà organizzative. Di fatto il numero dei contratti di formazione può aumentare, non solo per un finanziamento aggiuntivo previsto, ma anche per la riduzione delle annualità da corrispondere. Un passettino in avanti, ma non sul fronte del riconoscimento di una retribuzione per la frequenza alle scuole non mediche.
3) Turnover: qualche spiraglio, ma troppo poco.
Anche le Regioni con il piano di rientro potranno assumere (60% del turnover) e avranno un alibi in meno, ma senza obblighi cogenti.
4) Nessuna apertura sui contratti.
Il nostro emendamento tendente a consentire un’area autonoma di contrattazione per la dirigenza sanitaria, che avrebbe sbloccato l’iter per la riapertura del contratto, presentato da più gruppi parlamentari, è stato dichiarato inammissibile perché estraneo alla materia del DL. Le motivazione è inaccettabile, visto che il decreto invade a tutto campo materie sindacali (permessi, mobilità). E’ mancata la volontà politica del Governo di riaprire, aldilà degli annunci, la stagione contrattuale del pubblico impiego.
5) L’incredibile telenovela della rottamazione universitaria.
Alla fine gli universitari hanno mantenuto di fatto lo status quo. Dopo un balletto di cifre che ha richiesto ben tre voti di fiducia, anche il grande rottamatore si è arreso a motivazioni strumentali improntate a mere logiche di potere, ed alla conservazione di un dogma che li vuole svincolati da regole ed obblighi, che lasciano sul campo come unico oggetto rottamabile i destini dei ricercatori. Per quanto riguarda i dirigenti sanitari direttori di struttura complessa del SSN, è stato risparmiato loro un trattamento differenziato rispetto ai corrispettivi universitari, con conseguente ulteriore invasione di questi ultimi nelle apicalità ospedaliere, al prezzo di lasciare aperta la frattura, introdotta nel 2008, con il resto della categoria. Gli altri dirigenti sanitari, invece, sono rottamabili a 65 anni, paletto assente nella legge in vigore dal 2008, con 42 anni di anzianità contributiva. La norma prefigura una facoltà in capo all’azienda, e non un obbligatorietà, al pensionamento coatto. Facoltà possibile anche prima e senza il DL 90, il quale però introduce un limite anagrafico che circoscrive di molto i margini di manovra delle aziende, tanto che gli ultimi fuochi rottamatori sono partiti prima che il decreto divenisse legge.
Nulla è innovato per quanto riguarda i limiti ordinamentali, visto che è stato respinto il tentativo di eliminare la L.183/2010, che consente a tutti i dirigenti del ruolo sanitario la permanenza fino al quarantesimo anno di servizio effettivo (senza i riscatti), non oltre i 70 anni. Il risultato finale è un guazzabuglio di date in cui si concentrano limiti ordinamentali di vecchiaia, limiti di anzianità e limiti di rottamazione, oltre che prevedibili contenziosi legali. Fa rabbia che la proposta di riconvertire le risorse derivate dalla rottamazione in nuova occupazione e per la stabilizzazione dei precari sia stata negata al SSN, rendendo evidente la fragilità dell’annuncio di staffetta generazionale.
6) Mobilità “speciale”.
Sulla mobilità obbligatoria che il DL autorizza entro i 50 km e entro il medesimo comune, la misura avrà, verosimilmente, un impatto limitato nella dirigenza sanitaria, articolata per specializzazioni, mentre può avere un effetti notevoli sulla dirigenza amministrativa. Tuttavia non è stata sufficientemente segnalata la portata del provvedimento. Infatti la norma del DL fornisce un’interpretazione esclusiva per i dipendenti pubblici (ennesima “legge speciale”) dell’articolo 2103 del codice civile, valido per la generalità dei cittadini, che permane non emendato né abrogato, che, all’ultimo periodo, recita: “Egli (il lavoratore) non può essere trasferito da un unità produttiva ad un altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo”. Con il DL 90 si pone in atto, solo per i dipendenti pubblici, una definizione di “unità produttiva” artificiosamente definita con un perimetro di 50 km o nello stesso comune. I dubbi di legittimità ci sembrano tanto fondati da meritare approfondimenti giudiziali.
7) Divieti ai pensionati di consulenze incarichi e titolarità in organi di amministrazione.
Avanti con qualche eccezione. Le modifiche introdotte salvano i politici componenti di giunte regionali e comunali, i membri di enti come gli ordini professionali e di non meglio precisati “componenti eletti di enti associativi”. Una gerontocrazia. Confermato il divieto per tutti gli enti dell’elenco ISTAT di conferire a pensionati (a qualunque titolo) consulenze e incarichi dirigenziali, se non a titolo gratuito e per 1 anno. Anche i direttori generali, sanitari e amministrativi se pensionati non potranno essere oggetto di nomina o riconferma. Notevole l’impatto sulle direzioni di Aziende sanitarie ed Enti.
8) Permessi sindacali: nessuno sconto.
Nessuna attenuazione del taglio del 50% dei permessi e dei distacchi sindacali che, per la verità, nemmeno avevamo chiesto. Resta da verificare se il contingente minimo previsto dallo Statuto dei lavoratori sia ancora rispettato e vigente, soprattutto per la dirigenza che non ha costituito le RSU e se sia conforme al dettato costituzionale la discriminazioni tra lavoratori del settore pubblico e lavoratori del settore privato.
9) Stop ai Comuni per l’apertura di strutture sanitarie senza autorizzazione regionale.
Abolito il comma 2 dell’articolo 27 che consente ai Comuni di autorizzare l’apertura di strutture sanitarie senza l’assenso delle Regioni, ovvero senza tener conto del fabbisogno e dell’ubicazione delle strutture e della programmazione regionale. Tuttavia su questo emendamento, sostenuto anche da Cosmed e Anaao Assomed, centrale per le stesse prerogative regionali e per limitare il consumismo sanitario, le Regioni si sono presentate divise. Infatti l’emendamento non è condiviso, in sede di conferenza delle Regioni, dalle Regioni Calabria, Campania e Lazio.
10) Non passa l’emendamento delle Regioni per spostare risorse contrattuali dalla dirigenza al comparto.
Bocciato un emendamento delle Regioni oscuro, insidioso e provocatorio: laddove la dotazione organica della dirigenza si riduce di almeno il 10%, è possibile incrementare l’indennità di posizione organizzativa del comparto fino al 30%, utilizzando i fondi aziendali senza oneri aggiuntivi. La norma era riferita ai dipendenti delle Regioni e degli enti locali, ma come scritta sarebbe stata estensibile al SSN. In pratica si ipotizzava di utilizzare i fondi dei dirigenti per incrementare le retribuzioni del comparto. La proposta inoltre ingenerava conflitti di competenza professionale viste le motivazioni a sostegno del provvedimento “valorizzare la responsabilità di personale dipendente non dirigente con incarico di responsabilità organizzativa, nei confronti dei quali, in relazione alla riduzione del numero dei dirigenti, è stata (testuale) esercitato un ampliamento delle funzioni e delle attribuzioni”.
Ci auguriamo che in futuro le Regioni si spendano per cause migliori, a cominciare dai rinnovi contrattuali.
In conclusione, crediamo che il nostro intervento sia stato efficace, ma occorrerà rinnovare l’impegno per riproporre le esigenze delle nostre categorie in occasione dei prossimi provvedimenti legislativi, al fine di ottenere i risultati auspicati. Di fatto gli oltre 100 parlamentari che hanno sottoscritto i nostri emendamenti dimostrano che siamo riusciti, se non altro, a sensibilizzare sulle questioni che ci stanno a cuore, una parte non piccola della Camera dei Deputati.
8 agosto 2014