Dell’ordine del giorno ci sono due versioni, una con, l’altra senza il decreto salva Regioni. Il Consiglio dei ministri si riunisce oggi, ma non è ancora chiaro se il decreto con cui verrebbero spalmati in trent’anni circa 12 miliardi di debito delle Regioni (9 miliardi) e dei Comuni (tra i 2 e i 3) emersi dopo la sentenza della Consulta, verrà approvato. Governatori e sindaci ne hanno bisogno entro il 30 novembre, termine ultimo per rimettere mano ai conti. Se non arriva il decreto il banco della finanza locale rischia di saltare, ma il governo, impegnato in un braccio di ferro sui tagli alla sanità, continua a prendere tempo.
Ieri i governatori si sono riuniti e hanno deciso, all’unanimità, di sospendere il parere sulla legge di Stabilità. «Se non arriva il decreto siamo pronti a restituire le chiavi delle Regioni. Questo decreto va fatto, è un atto dovuto e va fatto subito, ci sono gli assestamenti di bilancio da fare» dice Michele Emiliano, presidente della Puglia. E se i bilanci regionali rischiano un buco enorme per come hanno contabilizzato i prestiti dello Stato, facendoci altri debiti, la colpa non è dei governatori «caduti in un errore nel quale sono stati indotti dall’esecutivo» aggiunge Emiliano, ricordando i protocolli a suo tempo definiti con il ministero dell’Economia.
Le anticipazioni concesse dal governo nel 2013 per saldare i debiti arretrati con i fornitori, sono state utilizzate per finanziare altra spesa, coprire debiti fuori bilancio o disavanzi d’esercizio. E questi buchi che si sono creati ora vanno coperti. La soluzione a cui lavora il governo è puramente contabile, e non dovrebbe comportare effetti sulla finanza pubblica, cioè impattare sul deficit o sul debito. Ma è molto complicata, non del tutto definita e ancora un po’ «tirata» alla luce dei criteri contabili di Eurostat, del quale occorre assolutamente evitare la censura. Anche per questo non si esclude un ulteriore rinvio del decreto, già apparso a fine estate, poi transitato nelle bozze della Stabilità e di nuovo sparito dall’orizzonte.
Se nei piani dell’esecutivo tutto dovrebbe risolversi in una partita di giro per i conti pubblici, lo stesso di sicuro non avverrà per i contribuenti. Quel buco, anche se in trent’anni, saranno chiamati a coprirlo i cittadini delle Regioni e dei Comuni interessati al problema, anche con le tasse locali, benché l’esecutivo le abbia teoricamente congelate. Quelle nazionali, intanto, volano. Tra gennaio e settembre 2015, secondo il Tesoro, il gettito è cresciuto di 10 miliardi rispetto al 2014. Al netto delle entrate straordinarie sono 6,8 miliardi in più, con un aumento del 2,4%.
M. Sen. Il Corriere della Sera – 6 novembre 2015