Si gioca sul filo del calendario la partita del decreto «salva-Regioni», che serve a consentire un ripiano trentennale dei disavanzi creati dagli errori di gestione dei fondi sblocca-debiti e, nei fatti, ad evitare il dissesto del Piemonte e problemi serissimi anche in altre amministrazioni.
Il provvedimento, già preparato e saltato prima dell’estate nel corso della conversione del decreto enti locali e poi inutilmente riproposto nelle prime bozze della manovra, sarà sul tavolo del consiglio dei ministri di venerdì prossimo, come annunciato dal sottosegretario a Palazzo Chigi Claudio De Vincenti, mentre ieri il premier Renzi aveva parlato della «prossima settimana». In ogni caso, il decreto entra però in vigore con la firma da parte del presidente della Repubblica, che domattina parte per il Vietnam da dove tornerà solo mercoledì prossimo. A quel punto, le Regioni interessate dovranno correre per rifare i conti del 2015 entro il 30 novembre, data dopo la quale i bilanci diventano immodificabili.
Il problema è «contabile», come ricordato ieri da De Vincenti, ma è diventato sostanziale dopo che la Corte costituzionale, nella sentenza 181 del 23 giugno scorso, ha giudicato illegittimi i conti 2013 del Piemonte, facendo gonfiare un disavanzo che alla fine è arrivato al livello stellare di 5,8 miliardi.
La questione, che si ripete in vario modo anche lontano da Torino, è materia da tecnici, ma si può riassumere in questo modo: le anticipazioni da oltre 20 miliardi girate alle Regioni dal ministero dell’Economia servivano a pagare vecchi debiti con i fornitori, che quindi dovevano già essere presenti nei bilanci sotto la voce dei «residui passivi». Per questa ragione, la liquidità arrivata da Roma non può avere alcun effetto sul «risultato di amministrazione», cioè sui saldi finali del bilancio. Quando invece queste somme sono finite a ritoccare il risultato, hanno aperto spazi per spesa corrente aggiuntiva invece di essere interamente destinati ai vecchi debiti.
Secondo calcoli informali circolati nei tavoli tecnici, i disavanzi che si sono creati in questo modo, e che sono in corso di esame da parte della Corte dei conti negli esami sui bilanci regionali, valgono 9 miliardi di euro. Solo in Piemonte, 2,55 miliardi del super-rosso emerso in Regione dipendono dalla gestione dei fondi sblocca-debiti, e per capire le conseguenze pratiche del problema è sufficiente richiamare le cifre calcolate qualche giorno fa dall’assessore al Bilancio del Piemonte, Aldo Reschigna: senza ”aiuto”, la Regione dovrebbe trovare al volo circa 800 milioni di euro per onorare la rata 2015 prevista dai piani di rientro ordinari, mentre con l’orizzonte a 30 anni prospettato dal decreto la somma da impegnare scenderebbe a 230 milioni. Tra queste due cifre corre la differenza che passa tra un dissesto quasi obbligato e un impegno lungo ma sostenibile.
Sulla catena dei disavanzi, che dopo la sentenza costituzionale si sta allungando con le pronunce delle varie sezioni regionali della Corte dei conti, si è acceso l’ennesimo dibattito fra alcuni presidenti e il Governo. Ancora ieri, per esempio, il governatore del Veneto Luca Zaia ha chiesto di «non chiamarlo salva-Regioni ma salva-Governo, perché l’errore deriva da lì». Il riferimento è ai tavoli tecnici che due anni fa hanno governato la gestione dei fondi, e che avrebbero dato un sostanziale via libera alla soluzione poi bocciata dalla Consulta. Resta il fatto, che la nebbia è stata fitta fin dalla norma originaria, il Dl 35/2013, e ha accompagnato tutta la vicenda fino alle prime bozze della manovra, dov’era ospitato un testo che sarebbe però ovviamente entrato in vigore solo nel 2016. Troppo tardi per molte Regioni.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 5 novembre 2015