Deficit al 3,1%, il Pil cala dell’ 1,7%. Pareggio di bilancio rinviato al 2015. Manovra ‘pesante’ a fine anno
Per centrare il 3% serviranno 1,5 miliardi. Stime migliori per il 2014 Il prodotto interno lordo crescerà dell’1% rispetto allo 0,7% della previsione precedente, il deficit scenderà al 2,5%
Il 2013, come largamente previsto, si chiuderà con un pesante segno meno per l’economia nazionale: -1,7%, contro il più ottimistico -1,3% stimato in aprile. I segnali di ripresa che – conferma il Governo – vanno consolidandosi, consentono tuttavia di prevedere un più robusto incremento dell’attività produttiva nel corso del 2014, tanto che la nuova stima per il Pil si attesta su un incremento pari all’1 per cento, contro lo 0,7% previsto dal Fmi nel Def di aprile era indicato l’1,3%). Quanto ai conti pubblici, la Nota di aggiornamento al «Def» approvata ieri dal Consiglio dei ministri colloca per quest’anno l’asticella al 3,1% del Pil in termini tendenziali, dunque lo 0,1% in più rispetto al tetto massimo fissato in sede europea. Per colmare lo scarto, il Governo conferma l’impegno ad adottare «interventi tempestivi» prima della fine dell’anno. L’indicazione che emerge al momento è quella di intervenire attraverso un mix di aggiustamenti contabili (quali lo slittamento al 2014 di alcuni pagamenti) e di riallocazione delle risorse all’interno del bilancio.
Il tutto, al momento, per un importo che dovrebbe essere contenuto in 1,5 miliardi, la cui individuazione non richiede il ricorso a una manovra correttiva vera e propria. Risorse certe e immediate andranno invece comunque reperite se si deciderà di riaprire il dossier Iva, attraverso lo slittamento a tutto il 2013 dell’aumento previsto il prossimo 1? ottobre. Servirà 1 miliardo, cui si aggiungono i 2,3 miliardi necessari a far fronte alla soppressione anche della seconda rata Imu di dicembre. Vi si aggiungono i 700 milioni per le altre spese da coprire (nuovo finanziamento della Cig in deroga e il costo delle missioni militari nell’ultimo trimestre dell’anno).
Fin qui la partita con il 2013. Per il prossimo anno il Governo prevede che il deficit nominale si attesti al 2,5% del Pil, con la spesa in conto interessi indicata al 5,3% quest’anno e al 5,6% il prossimo, mentre il saldo primario (al netto degli interessi) è previsto in aumento dal 2,4% di quest’anno al 3,8% del 2014, fino al 5,7% del 2017. Le tabelle che accompagnano il documento confermano che il debito nel suo complesso (comprensivo anche degli interventi finanziari Efsf) si attesti al 132,9% del Pil quest’anno, al 132,8% il prossimo. Solo dal 2015, l’anno in cui cominceranno ad applicarsi le regole del Fiscal compact e del Two Pack sul debito, è prevista la lenta discesa fino al 120,1% del 2017.
Quanto al pareggio di bilan7 Il deficit pubblico (o indebitamento netto) è la differenza tra le entrate e le uscite della pubblica amministrazione durante un anno solare, al lordo degli interessi sul debito pubblico. Nella nota di aggiornamento al Def approvata ieri il governo ha rivisto al rialzo al 3,1% il deficit atteso a fine 2013 contro il 3% previsto in precedenza cio in termini strutturali (al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum) il percorso delineato dalla Nota di aggiornamento al Def prevede che quest’anno si raggiunga quota -0,4%, che passerà a -0,3% nel 2014, e solo nel 2015 raggiungerà lo zero, il pareggio vero e proprio. Il quadro programmatico – si legge nel documento – traccia dunque «un percorso di avvicinamento» all’obiettivo, «con il pareggio a partire dal 2015, in linea con il nuovo requisito costituzionale e con le regole europee». Il riferimento è in particolare al dispositivo del Two Pack, laddove si stabilisce che la «regola del debito» (vale a dire la riduzione di un ventesimo l’anno rispetto al valore del 60% del Pil) si applichi per i paesi fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo dopo un triennio di transizione, che per noi equivale appunto al 2015. L’impegno assunto due anni fa dal governo Berlusconi, condiviso dal governo Monti, era stato in proposito di anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013.
Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni punta alla riduzione dello spread nei dintorni dei 100 punti base alla fine del periodo, dunque nel 2017. Scenario che lo stesso Saccomanni definisce “credibile”, a patto che si metta in campo una ferma determinazione nel perseguire questi obiettivi, e che vi sia «stabilità politica». Una scommessa, al pari dello 0,1% di crescita atteso per effetto dello sblocco di altri 7,2 miliardi di debiti commerciali della Ps (lo 0,3% nel 2014), e dell’ulteriore 0,1% sia quest’anno che il prossimo per effetto dell’insieme di interventi decisi finora, dalle agevolazioni nel comparto dell’edilizia agli incentivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Con Imu e Iva la manovra diventa «pesante»
La Nota di aggiornamento del «Documento di economia a finanza», approvata ieri dal Consiglio dei ministri, di fatto il primo atto del processo decisionale di bilancio che condurrà tra breve alla legge di stabilità, ci consegna unquadro che si potrebbe sintetizzare così: perdurante recessione nell’anno in corso (-1,7%), con rischio incombente (da sventare nelle prossime settimane) di scivolare oltre il tetto massimo del 3%, per quel che riguarda il deficit; ripresa più vigorosa delle attese nel 2014 (+1%), con undeficit che rientrebbe in zona sicurezza (2,5%). Il tutto a fronte del sostanziale slittamento al 2015 del pareggio di bilancio in termini strutturali.
Alcune certezze e diverse incognite emergono dall’attenta lettura del nuovo quadro previsionale messo a punto dal Governo. Si tratta di stime – si obietterà – e dunque cometali suscettibili di variazioni e sostamenti anche rilevanti. Difficile stabilire fin d’ora a che livello si attesterà lo spread nei prossimi mesi. Èapprezzabile che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni ritenga “credibile” che da qui al 2017 si ritorni attorno ai 100 punti base, masono tali le variabili in gioco da indurre in proposito a una certa prudenza. Nona caso lo stesso Saccomanni ha collocato al primo posto la variabile fondamentale della stabilità politica. Se la fragile einedita coalizione che sostiene il Governo franerà, al contrario si dovrà fare i conti con il probabile aumento dello spread.
Lecifre ele tabelle della «Nota» espongonoperaltro con plateale chiarezza che il tornante decisivo si colloca da qui alla metà di ottobre. Nessuno sforamento é consentito, dato che in valori tendenziali siamo già oltre il tetto del 3 per cento. Se per compensare il modesto scostamento dello 0,1% si potrà agire attraverso aggiustamenti contabili, ogni ulteriore spesa o mancataentrata (Iva, la seconda rata Imu, gli ulteriori stanziamenti per la Cig e le missioni internazionali) dovrà essere finanziata concoperture certe, validate da Bruxelles. Lo si evince anchedalle reiterate prese di posizione che giungono dalla Commissione. In pocheparole, se congli aggiustamenti in arrivo e la «clausola di salvaguardia» (aumentodelle addizionali Ires e Irap edelle accise su alcuni prodotti) si riuscirà a compensare conmaggiore certezza il costo dell’abolizione della primarata dell’Imu, con il prossimo blocco di misure la musica cambierà. Eper finanziare unamanovra di tale entità si dovràmettere manoa nuovi aumenti del prelievo oppure (maaottobreé una sorta di mission impossible) a nuovi tagli lineari o semilineari della spesa. Poichési ragiona di risorse non inferiori, a conti fatti, a 4-5 miliardi, ben si comprende la portata del tornante che attende il Governo: su questo, enonsulla decadenza di Silvio Berlusconi dasenatore, si giocherà il destino del Governo.
Per il 2014, situazione politica permettendo, il quadro previsionale delineato dalla Nota al Def si presenta più incoraggiante. Ma, anche qui, a patto che nella legge di stabilità (appunto a metà ottobre) e nei provvedimenti che la sosterranno, si delinei un percorso di robusto sostegno alla crescita, con priorità al taglio del cuneo fiscale da finanziare con una revisione vera e strutturale della spesa. Ed ecco che entra in gioco nuovamente la variabile politica, perché il sostegno parlamentare a operazioni che comunque incidono nei meccanismi di formazione della spesa non potrà che essere ampio, pena il naugragio ad imis dell’intero progetto.
Potrà soccorrere la nuova “flessibilità” su cui si sta ragionando a livello tecnico a Bruxelles, per ora relativamente a quei paesi (Grecia, Irlanda, Cipro, Spagna e Portogallo) che hanno subìto undrastico aumento del tasso di disoccupazione. Se a livello politico si raggiungerà l’intesa, la partita potrebbe riaprirsi anche per noi, ampliando la composizione degli addendi che aprirebbero la strada a uno “sconto” sul calcolo del deficit strutturale. Margini in questo senso sono peraltro già previsti dal cosiddetto «braccio preventivo» del Patto di stabilità. Fannoparte della «clausola di flessibilità» già sostanzialmente accordata da Bruxelles sul fronte degli investimenti pubblici produttivi (nella forma dei progetti comunitati in cofinanziamento). Nepossono fruire i paesi “virtuosi”, fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo. L’Italia comincerebbe a beneficiarne dal 2014, equesta é un’ulteriore carta da giocare già con la legge di stabilità. In poche parole, la parte nazionale del cofinanziamento non verrebbe computata interamente nel calcolo del deficit. Unapartita complessa, quella che si èaperta ieri, da giocare tra Romae Bruxelles, con esiti al momento difficilmente prevedibili.
Il Sole 24 Ore – 21 settembre 2013