Angela Tisbe Ciociola. Chi si dice entusiasta, chi accoglie la notizia con preoccupazione. Suscita reazioni contrastanti il via libera della commissione Bilancio del Senato all’emendamento alla Legge di Stabilità che crea un Parco unico a racchiudere l’area protetta veneta del Delta del Po, che copre un territorio di nove comuni e circa 12.500 ettari, con la confinante, e più vasta, zona emiliana. Dopo l’ok dato dalla Camera lo scorso giugno, Palazzo Madama ha modificato la legge 394 del 1991 sui Parchi e le Aree protette e ha, di fatto, dato l’ok alla fusione tra i due enti e alla creazione da zero di un nuovo Parco unico del Delta del Po.
Ora Veneto ed Emilia Romagna dovranno intavolare la discussione e gettare le basi della nuova realtà. Troppo presto ipotizzare la forma della nuova governance: dovrà essere creato un nuovo statuto e, solo a quel punto, si potrà parlare di consiglio di amministrazione e suddivisione delle competenze.
Una decisione, quella del Senato, salutata dai promotori del progetto, sia sul fronte veneto quanto su quello emiliano, con entusiasmo. «Quello che creeremo sarà il primo Parco interregionale di questo tipo — sottolinea il consigliere regionale e rodigino del Pd Graziano Azzalin, alfiere del progetto a Venezia — Una grande opportunità non solo per il Polesine, ma per l’intera regione, come lo sono state le Dolomiti».
Gli fa eco l’assessore alla Difesa del suolo e della costa dell’Emilia Romagna, Paola Gazzolo: «Passo in avanti importante. Quello del Delta del Po è un patrimonio unico ed è giusto lavorare in sinergia per creare un parco interregionale».
È però proprio questo aggettivo, l’«interregionale», il pomo della discordia che tanto ha fatto discutere sindaci del territorio e ambientalisti.
«Nell’emendamento non c’è scritto che stiamo parlando di un Parco interregionale — spiega Antonio Nicoletti, responsabile nazionale di Legambiente per le Aree protette — La nostra preoccupazione è che, visto che manca una connotazione precisa del Parco, si vengano a perdere alcuni vincoli paesaggistici che ora limitano la costruzione, ma anche la caccia e la pesca. Con l’aggiunta che, se le Regioni non trovano un accordo, tutto resta così come è e avremo solo perso tempo, com’è successo negli ultimi venti anni. D’altra parte, la vecchia legge stabiliva che, se nel corso di 18 mesi le Regioni non avessero trovato un accordo, si sarebbe creato un Parco nazionale. Ora non c’è più questa possibilità».
Su posizioni opposte, ma paradossalmente congruenti, ci sono anche gli amministratori locali.
«L’importante è che venga messo nero su bianco questo aspetto — sottolinea Franco Vitale, sindaco di Rosolina e portavoce dei suoi colleghi confinanti — La nostra preoccupazione è che possano aggiungersi vincoli che limitano ancora di più le attività economiche della pesca, fondamentali per il nostro territorio».
«Si stanno incaponendo su questioni terminologiche e ideologiche — ribatte Azzalin — È ovvio che c’è la volontà di entrambe le Regioni di portare avanti la trattativa e quindi che stiamo parlando di un Parco interregionale a tutti gli effetti. Faccio quindi appello a tutte le realtà coinvolte in questo percorso perché partecipino anche loro a questa rivoluzione».
Non è però convinto che si tratti di una semplice questione semantica Mauro Viti, commissario attuale del Parco regionale veneto del Delta del Po. «Un accordo del genere dà vita a Parco che non è nè carne nè pesce — commenta — Non sappiamo ancora come funzionerà la questione dei vincoli. Verrà fatta una sintesi tra le due regioni? Si uniranno per sottrazione? Lo ignoriamo e quindi il nostro giudizio non può che essere sospeso».
Insomma, è in quella parola che si annida il busillis . Perché dovrà essere ancora chiarito se l’unione tra i vincoli e le limitazioni alla costruzione, alla caccia e alla pesca tipici di ogni Riserva naturale sarà fatta per eccesso, con grande scorno delle realtà economiche, oppure per difetto, con buona pace degli ambientalisti.
«E poi consideriamo anche il paradosso — conclude Viti — che abbiamo fatto un referendum per avere maggiore autonomia nella gestione del territorio e poi scegliamo di condividere le competenze con una regione che, oltretutto, ha intrapreso la stessa strada su questo fronte. Insomma faccio davvero fatica ad inquadrarlo».
Il Corriere del Veneto – 30 novembre 2017