I risultati della finanza locale nel 2011 hanno risentito delle manovre anti-crisi. Per gli enti locali la contrazione delle entrate da trasferimenti ha generato la necessità di attuare azioni per il riequilibrio e riguardo alla spesa, si è rilevata una flessione di quella corrente, in particolare per il personale, sia nei comuni sia nelle province e una più evidente frenata di quella per investimenti: un decremento che si è ripetuto negli ultimi esercizi, provocando un preoccupante crollo nella realizzazione di investimenti. Lo sostiene la Corte dei Conti nella relazione sulla gestione finanziaria degli Enti Locali negli esercizi 2010-2011.
In termini complessivi, dai dati di cassa emerge un andamento delle entrate correnti in flessione nei comuni e in crescita nelle province; in questo generale contesto, spiega la Corte, si evidenzia che i trasferimenti sono in calo in entrambe le categorie di enti e la crescita delle entrate tributarie nelle Province trova ragione nella manovrabilità di alcune risorse (Ipt e imposta Rc auto), mentre per i Comuni, l’avvio del fondo sperimentale di riequilibrio, contabilmente allocato tra le entrate tributarie, ha comportato un’ampia riclassificazione delle entrate correnti che tuttavia sono risultate complessivamente in diminuzione.
Sul versante della spesa corrente hanno funzionato le varie misure restrittive, in particolare la riduzione della spesa per il personale e delle spese di funzionamento, che hanno determinato un contenimento della crescita della stessa nei Comuni (+2,03%) e una riduzione rispetto al 2009, per le Province (-1,63%) e per le comunità montane (-4,48%). Queste riduzioni sarebbero state più consistenti senza la forte spinta della spesa per la prestazione di servizi.
Nei comuni, in termini pro-capite, si registra un aumento del dato medio nazionale della spesa corrente impegnata, pari a 894,05 euro (nel 2009 era 880,60 euro). I maggiori incrementi si osservano nel Nord Ovest (da 872 euro a 912 euro pro-capite), mentre all’analisi dimensionale i maggiori scostamenti dal valore medio si osservano nei comuni della prima fascia (0-999 abitanti) con 1.110,59 euro, e anche tra i Comuni con maggiore coefficiente di rigidità della medesima spesa (incidenza della spesa del personale e di quella per gli ammortamenti dei mutui e dei prestiti sul complesso delle entrate correnti).
Il settore degli investimenti continua a mantenere un basso profilo sia nella programmazione sia nella dinamica gestionale. Secondo la magistratura contabile, nelle programmazioni di bilancio i comuni prevedono 62,5 miliardi di euro di entrate da accertare ma ne realizzano 19,08 miliardi. Di queste, dedotti i movimenti finanziari, solo 13,9 miliardi sono destinate agli investimenti. Stesso discorso per le province, le cui previsioni definitive cifravano 8,2 miliardi di euro, ma gli accertamenti effettivi si sono fermati a 2,88 miliardi, di cui 2,5 miliardi per gli investimenti. Così pure, ma per volumi di gran lunga inferiori, nelle comunità montane.
Anche la spesa in conto capitale nei comuni è caratterizzata dal forte scostamento tra previsioni (53,9 miliardi di euro di impegni previsti) e impegni effettivi (16,2 miliardi di euro pari al 30,13% delle previsioni). In valore assoluto sono state impegnate somme per 14,8 miliardi di euro (al netto delle concessioni di crediti) e continua a pagarsi poco, sia di quanto si impegna nella competenza (nel 2010 solo il 12,22% pari a 1,8 miliardi di euro su 14,8), sia per i pagamenti totali, ammontanti a 12,7 miliardi di euro, (di cui 10,9 miliardi in conto residui), in forte calo rispetto ai 15,3 miliardi di euro nel 2009, per cui i residui passivi totali crescono del 2,05% ed ammontano a 51,2 miliardi nel 2010, rispetto ai 50,1 miliardi del 2009.
Non appare diversa la situazione per le province, che nella competenza impegnano il 40,77% degli stanziamenti (8,3 miliardi previsti, 3,4 miliardi impegnati) e pagano solo l’8,81% degli impegni (275,4 milioni di euro), così come peggiora la fluidità di cassa nel 2010, considerato che i pagamenti totali ammontano a 2,6 miliardi di euro (di cui 2,3 miliardi in conto residui), rispetto ai 3,1 miliardi del 2009. Non aggiungono elementi al quadro d’insieme i dati poco significativi delle comunità montane.
Secondo la Corte dei Conti, gli andamenti della gestione dei bilanci definiscono una situazione di sostanziale stallo delle politiche di promozione dello sviluppo delle comunità locali, comprimendo il perimetro dell’intervento amministrativo limitato, essenzialmente, al normale esercizio delle loro funzioni. In questa situazione, il comparto degli enti locali mantiene in larga parte gli equilibri generali di bilancio. In particolare risulta positivo l’equilibrio finanziario di gestione dei comuni, visto che nel 2010 le entrate coprono il 99,94% delle spese (nel 2009 il 98,58%), sostenuto da un “surplus” della parte corrente pari a +6.32%.
Una lettura articolata va fatta, invece, del dato concernente l’equilibrio economico finanziario, ossia la capacità dell’ente di far fronte con le entrate correnti a tutte le spese correnti e al pagamento della quota capitale dei mutui in ammortamento: aumentano i comuni con indice positivo, soprattutto tra i meno popolosi, laddove il dato peggiora per quelli con maggior numero di abitanti.
Anche per le province si evidenzia una situazione in complessiva tenuta dell’equilibrio finanziario di gestione pari a 97,16%, cioè della capacità delle entrate di coprire nella predetta misura le spese, anche se nella gestione di competenza dell’esercizio 2010 gli accertamenti totali crescono meno degli impegni totali, riflettendo l’andamento di parte corrente dove la diminuzione delle spese è inferiore alla riduzione delle entrate, all’inverso di quanto si rileva nel risultato del conto capitale. Ciò comporta un peggioramento del margine corrente rispetto al 2009, un peggioramento della situazione degli enti con equilibrio economico-finanziario positivo (che sono 59 nel 2010 rispetto ai 63 del 2009) e un incremento degli enti con indice negativo: da 40 (2009) a 44 nell’esercizio esaminato.
Più difficile appare la situazione per le comunità montane, in particolare per quelle che ricadono nell’area del Sud, in gran parte delle quali sono stati rilevati segni di sofferenza nei principali saldi di bilancio, sia di parte corrente sia di conto capitale. Nel risultato, che tiene conto anche della gestione dei residui, solo 3 province e 97 comuni hanno chiuso l’esercizio in disavanzo di amministrazione, anche se sussistono dubbi e perplessità sulla piena attendibilità di una componente determinante del saldo di amministrazione, i residui attivi, vale a dire i crediti dell’ente la cui vecchiezza è notoria essere forte indizio di inesigibilità.
ItaliaOggi – 9 agosto 2012