Si profila un ostacolo imprevisto sulla strada dei (più volte cancellati e attesi da ormai otto anni) rinnovi contrattuali dei pubblici dipendenti. Come noto, il governo ha stanziato nelle leggi di Stabilità risorse sufficienti per concedere aumenti complessivi a regime per 85 euro medi a lavoratore. E in più Matteo Renzi, proprio alla vigilia del disastroso referendum costituzionale, aveva stipulato con i sindacati un accordo che garantiva un aumento «non inferiore a 85 euro medi» scritto nell’accordo del 30 novembre. Solo che il pagamento degli aumenti in busta paga avrebbe una spiacevole e imprevista conseguenza: farebbe scattare per molti dei dipendenti del pubblico impiego – ben 363 mila di loro, quelli che guadagnano tra i 23 mila e i 26 mila euro annui, concentrati soprattutto nella sanità e negli enti locali – la cancellazione automatica del bonus degli 80 euro concesso a suo tempo dal governo. Una bella presa in giro, si direbbe: anzi, una beffa, visto che essendo gli aumenti contrattuali lordi, e il bonus 80 euro netto, alla fine dei rinnovi contrattuali, dopo tanta attesa e tanti scioperi pagati salatamente, 363 mila travet addirittura finirebbero per rimetterci. Per evitare danno e beffa, secondo i calcoli dell’Aran, l’Agenzia contrattuale del governo per il pubblico impiego, che sta svolgendo il negoziato con i sindacati di categoria per il contratto, servirebbero 125 milioni di euro. Ovvero, 3,7 euro a testa.
Della questione – e più in generale dello stato dell’arte della trattativa – hanno parlato appunto ieri i sindacati di categoria di Cgil-Cisl-Uil con l’Aran. Secondo il presidente dell’Agenzia governativa, Sergio Gasparrini, la questione in realtà non è così grave: «Oggi ci siamo concentrati sulle risorse – ha detto – per chiarire in modo abbastanza preciso qual è la dimensione del fenomeno 80 euro, che comunque costituisce una percentuale non particolarmente significativa rispetto al totale delle risorse complessive». Se tutti sono d’accordo sul fatto che c’è un problema per 363 mila pubblici dipendenti, è chiaro che si tratta di trovare una soluzione per restituire a questi lavoratori il bonus perduto.
Sul modo, però non c’è ancora né chiarezza né accordo. E i sindacati ieri hanno chiarito di non essere disponibili a detrarre la restituzione del bonus dallo stanziamento pattuito per l’aumento di stipendio, che dev’essere «non inferiore» a 85 euro medi mensili, come stabilito nell’accordo di novembre. Per Franco Martini della segreteria Cgil al momento le risorse «non consentono di affrontare positivamente il rinnovo». La numero uno della Fp Cgil, Serena Sorrentino, mette in guardia: «Non ci possono essere comparti penalizzati» per via degli 80 euro. Sulla stessa linea la Uil, che con Antonio Foccillo, raccomanda di «non confondere il bonus con l’incremento salariale». Ancora più esplicito Maurizio Petriccioli della Cisl: le risorse vanno stanziate «nella legge di Bilancio».
La faccenda sarà più chiara quando si conoscerà l’ammontare preciso inserito in manovra per i rinnovi. Sono attesi 1,2-1,3 miliardi per la pubblica amministrazione centrale, ma le pressioni per salire non mancano, a partire dalle richieste di aumenti per i professori e per il welfare.
La Stampa – 29 agosto 2017