La malattia di massa dei Vigili romani nella notte di Capodanno ha dato la spinta finale: il governo modificherà le norme del lavoro nel pubblico impiego, come già previsto dalla legge delega Madia che riprenderà il suo iter a febbraio. Il piano passerà attraverso un emendamento dell’esecutivo che potenzierà i controlli sui certificati medici del settore pubblico affidandoli all’Inps (oggi ci pensano le Asl). Allo stesso tempo ogni singola amministrazione dovrà dotarsi di Commissioni ad hoc per valutare il comportamento dei dipendenti e decidere sull’eventuale licenziamento evitando così possibili personalizzazioni – abusi e ripicche per esempio – da parte dei dirigenti. Ciò farà sì che nel lavoro pubblico il licenziamento per scarso rendimento diventi più facile: in teoria già oggi è possibile praticarlo, ma le regole fissate sono rimaste sulla carta.
Il piano del Governo
Il nuovo corso era stato annunciato da Renzi nella conferenza stampa di fine anno («i fannulloni del settore pubblico vanno puniti», aveva detto), ma i fatti di cronaca hanno accelerato l’intenzione. Ora il governo pensa ad un emendamento da presentare alla legge Madia che da un lato potenzi le norme già previste dalla legge Brunetta e dall’altro intervenga radicalmente sui controlli dei certificati medici. «Bisognerebbe affidarli all’Inps, otterremmo una qualità migliore e risparmieremmo », ha detto il premier Renzi ai suoi.
Di fatti il caso dei Vigili e degli autisti Atac a Roma è solo la punta di un iceberg. Da quanto risulterebbe ai tecnici di Palazzo Chigi, fra il 2012 e il 2013 il numero complessivo di certificati di malattia, nel settore pubblico, è aumentato del 27%. Svanito l’effetto Brunetta, che sulla salute cagionevole dei dipendenti pubblici aveva centrato la sua battaglia (il governo Berlusconi di cui era ministro della Funzione pubblica è caduto nel novembre 2011), le assenze sono lievitate. Il controllo dei certificati medici è un problema: oggi, per quanto riguarda i lavoratori statali, sono affidati alle Asl. L’Inps valuta solo quelli dei dipendenti privati per un costo annuo di 25 milioni. Secondo i dati del governo, le Asl controllano certificati “pubblici” per un costo che arriva ai 70 milioni, ma sono la metà di quelli visti dall’Inps: affidare all’istituto anche la verifica della parte pubblica permetterebbe di migliorare la qualità delle indagini (l’istituto ha anche un sistema informatico d’avanguardia) e di risparmiare 60 milioni. Una rivoluzione del genere, in realtà, potrebbe presentare qualche problema, visto che solo qualche mese fa l’istituto di previdenza si lamentava del taglio di risorse pubbliche praticato dal governo ri- guardo alle visite fiscali (oggi i medici convenzionati e autorizzati a farle sono circa 1.500 e sono pagati secondo un preciso capitolato), ma la svolta è assicurata. E verifiche dei certificati a parte, il potenziamento dei controlli passerebbe anche attraverso interventi nella governance delle singole amministrazioni prevedendo Commissioni di valutazione che garantiscano l’imparzialità delle decisioni (la stessa riforma Madia già affida a una Commissione le valutazione sul merito e sul licenziamento dei dirigenti).
Oggi infatti il licenziamento per scarso rendimento nel settore pubblico è previsto dalla riforma Brunetta del 2009. La legge però è poco applicata, visto che tutta la partita riguardante la produttività del pubblico impiego doveva andare di pari passo con un rinnovo dei contratti pubblici che non c’è mai stato (le buste paga degli statali sono ferme da anni e continueranno ad esserlo anche nel 2015). Se si dimostra la parzialità del giudizio, cosa non troppo difficile a farsi, il licenziamento è considerato illegittimo e il reintegro sul posto di lavoro pubblico è assicurato.
«E’ impensabile che la decisione di licenziare un dipendente pubblico possa essere affidata ad un dirigente – afferma Filippo Taddei, responsabile economico del Pd – Ciò non avviene nemmeno nei sistemi di amministrazione pubblica più verticalizzati, come quello francese». Ma «il governo non avrà timidezze nel riformare il pubblico impiego, pur collocando gli interventi nel giusto ambito: quella della più complessa riforma Madia». Una riforma che per Taddei ha due obiettivi: «Facilitare la riorganizzazione della Pubblica Amministrazione senza prevedere licenziamenti, ma ricollocando i dipendenti negli uffici dove ci sarà più bisogno, e garantire sanzioni chiare e certe contro i disservizi e gli inadempimenti degli obblighi contrattuali. Ci sono stati casi in cui sono stati riammessi al lavoro dipendenti che avevano compiuto reati: ciò non dovrà più essere possibile. Dovrà essere garantita la sanzione, come il riconoscimento del merito». In teoria per definire l’articolo 13 della legge delega Madia (che prevede il riordino della disciplina dei dipendenti pubblici) il governo avrebbe 24 mesi di tempo. Palazzo Chigi già aveva detto di voler procedere in fretta, il caso Roma ha accelerato i tempi.
I sindacati. “Punire chi sbaglia e valorizzare chi lavora, ma non serve modificare ancora le norme”
Nuove norme o estensione del Jobs Act alla Pubblica Amministrazione per evitare altri casi “vigili di Roma”? Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl-Funzione Pubblica, non è d’accordo: «Mi pare che sia un problema mal posto».
E qual è allora il modo giusto di inquadrarlo?
«Punire gli abusi è l’unico modo per valorizzare chi lavora bene. Certo, una volta che l’abuso è stato accertato, e a Roma si deve ancora accertare. Dire che servono nuove norme è un grande errore: questo è un caso singolo, bisogna anche considerare gli oltre 150.000 dipendenti pubblici che non fanno ferie nei periodi festivi e prendono indennità aggiuntive a volte ridicole».
È un caso singolo, ma pone un problema generale.
«Nella P. A. si può già arrivare al licenziamento in tronco. È sbagliato anche parlare di estensione del Jobs Act: in questo caso non sarebbe stato applicabile, perché riguarda solo i nuovi assunti. In ogni caso ci sono altre responsabilità oltre a quelle dei vigili».
A chi si riferisce? Ai medici che hanno firmato i certificati di malattia?
«Se qualcuno ha abusato davvero di un certificato, deve pagare anche il medico. Non solo: il dirigente ha mandato le visite fiscali? In una città come Roma la sicurezza a Capodanno non può essere affrontata il giorno prima. Fa bene il ministro Madia a chiedere un’ispezione. Il comandante dei vigili sapeva che ci sarebbero stati problemi, infatti due giorni prima del Capodanno ha chiesto al prefetto di precettare gli agenti di polizia locale, senza ricevere alcuna risposta. Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro, che non c’è mai stato».
L’Inps: “Pronti a garantire controlli su statali in malattia con metà spesa delle Asl”
L’istituto di previdenza potrebbe sorvegliare le assenze dei dipendenti pubblici. Se l’ipotesi sarà concretizzata ci sarà una procedura uniforme sia per i dipendenti del settore privato che quelli pubblici
Controlli sui dipendenti pubblici che si assentano dal lavoro per malattia da parte dell’Inps: è quanto annunciano fonti dell’Istituto di previdenza in merito all’ipotesi di affidare all’Inps i controlli attualmente in capo alle Asl. “L’Istituto – fa sapere la fonte – è pronto ad assumere i controlli sulle malattie nel pubblico impiego attualmente affidati alle Asl con una spesa pari alla metà di quella impiegata dalle strutture sanitarie”.
Sulla questione c’è un’analisi della commissione Affari sociali della Camera che ha ipotizzato lo spostamento del servizio con una riduzione del costo della metà dai 70 milioni attuali a circa 35 milioni. Se l’ipotesi sarà concretizzata si andrà dunque verso una procedura uniforme sia per i dipendenti del settore privato, già controllati dall’Inps in caso di malattia, che quelli pubblici attualmente affidati alle ‘cure’ delle Asl.
Sei milioni di certificati di malattia con prognosi inferiore a 3 giorni. Ogni anno sono 6 milioni i certificati di malattia con una prognosi inferiore ai tre giorni che vengono firmati dai medici di famiglia su richiesta dei lavoratori pubblici e privati. Lo rileva il centro studi della Fimmg, la Federazione italiana dei medici di medicina generale. “Questa mole di certificati riguarda unicamente una malattia del lavoratore, rimangono fuori quelli relativi alla gravidanza, alla legge 104, ai permessi per la donazione del sangue”, afferma Silvio Trabalza, vice segretario di settore della Fimmg. Nel settore privato i certificati di un giorno sono 1 milione e 56 mila, mentre nella pubblica amministrazione sono un milione e 252 mila; quelli da 2 a 3 giorni sono 2 milioni 766 mila nel privato e un milione 747 mila nella Pa. “Scovare l’assentesimo da malattia – spiega Trabalza – è molto complesso perché non esiste una regia unica che procede ai controlli. Come non ci sono dati aggiornati su quanto sia fuori controllo la spesa legata a questo tipo di assenze dal posto di lavoro”. Secondo l’esperto, che ricorda come oggi in Italia sono 1.250 i medici fiscali, “solo un unico polo, in campo all’Inps, può fare i controlli necessari. Questo ente ha già una filiera computerizzata in grado di segnalare in tempo reale l’assenza e il motivo. Ma – aggiunge – si può fare anche altro se il Governo prendesse in considerazione il nostro suggerimento di dare la possibilità al lavoratore di autocertificare l’assenza di un giorno o due. In questo modo – conclude – sarebbe molto più responsabilizzato e risponderebbe in prima persona”.
Lavoro, ma nel privato più giorni di malattia che nel pubblico
Tra i dipendenti statali 16,7 giorni di media all’anno, che nel settore privato salgono oltre 18. Ma il numero di “eventi” per lavoratore è più alto nel primo caso. I picchi nel lunedì. I più ‘cagionevoli’ in Calabria, Sicilia e Campagna, i più ‘resistenti’ in Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Veneto
Nel settore pubblico ci si ammala più spesso, ma mediamente si perdono meno giorni di lavoro che nel settore privato. E’ quanto emerge da uno studio condotto dalla Cgia di Mestre secondo cui nel 2012 (ultimo anno in cui i dati sono a disposizione) i giorni di malattia medi registrati tra i lavoratori del pubblico impiego sono stati 16,72 (con 2,62 eventi per lavoratore), nel settore privato, invece, le assenze per malattia hanno toccato i 18,11 giorni (con un numero medio di eventi per lavoratore uguale a 2,08). Tema quantomai scottante in questi giorni di polemiche per l’assenteismo dei vigili di Roma nel giorno di Capodanno e con il governo che promette feree contromisure.
Complessivamente, aggiunge lo studio della Cgia, sono stati 6 milioni i lavoratori dipendenti italiani che hanno registrato almeno un evento di malattia. Mediamente, ciascun lavoratore dipendente italiano si è ammalato 2,23 volte ed è rimasto a casa 17,71 giorni: complessivamente sono stati quasi 106 milioni i giorni di malattia persi durante tutto l’anno.
Oltre il 30 per cento dei certificati medici che attestano l’impossibilità da parte di un operaio o di un impiegato di recarsi nel proprio posto di lavoro è stato presentato di lunedì. In altre parole, tra quelli che hanno presentato un certificato medico nel corso del 2012, quasi un lavoratore dipendente su 3 ha iniziato la malattia il primo giorno della settimana.
La malattia di un lavoratore, spiega lo studio cella Cgia, viene considerata come unico evento anche nel caso di più certificati tra i quali intercorra un intervallo di tempo non superiore a 2 giorni di calendario. I dati sono stati estratti dall’Osservatorio sulla certificazione di malattia dei lavoratori dipendenti privati e pubblici dell’Inps, avviato nel 2011. Il motivo della mancanza di una serie storica più lunga deriva dal fatto che la trasmissione telematica dei certificati di malattia da parte dei medici di famiglia è andata a regime nel 2011.
In aggiunta ai dati della Cgia, si può reperire dall’Inps un andamento relativo al 2013 pubblicato nel novembre scorso: l’Istituto dice che in quell’anno “sono stati trasmessi 11.869.521 certificati medici per il settore privato e 5.983.404 per la pubblica amministrazione; nel settore privato il numero dei certificati di malattia trasmessi è stato sostanzialmente uguale a quello del 2012, con un aumento dell’1,1%, mentre per la pubblica amministrazione complessivamente si rileva un aumento del 9,2%”. Ancora l’Istituto dice che “confrontando le serie mensili dei certificati medici trasmessi per settore, emerge che nel settore privato l’andamento è abbastanza stabile nel triennio 2011-2013”. Nel pubblico, invece, lo stesso periodo “evidenzia un trend crescente”.
Tornando all’analisi Cgia, a livello territoriale la maglia nera spetta alla Calabria: nel 2012 ogni lavoratore dipendente calabrese è rimasto a casa mediamente 34,6 giorni. La media sale addirittura a 41,8 nel settore privato. Tra i lavoratori dipendenti più “cagionevoli” troviamo anche i siciliani (con 19,9 giorni medi di malattia all’anno), i campani (con 19,4) e i pugliesi (con 18,8). Gli operai e gli impiegati più “robusti”, invece, li troviamo a Nordest. Se i lavoratori dipendenti dell’Emilia Romagna rimangono a casa mediamente 16,3 giorni all’anno, in Veneto le assenze per malattia scendono a 15,5 per toccare il punto più basso nel Trentino Alto Adige, con 15,3 giorni.
I lavoratori anziani infine sono più a rischio dei giovani. Dalla rilevazione emerge che le assenze aumentano in misura corrispondente al crescere dell’ età. Se fino a 29 anni il numero medio di giorni di malattia per lavoratore è pari a 13,2, nella classe di età tra i 30 e i 39 anni sale a 14,9, per toccare il valore massimo sopra i 60 anni, con 27,4 giorni medi di assenza all’anno. La durata media degli eventi di malattia è, comunque, relativamente breve. Nel 71,7 per cento dei casi la guarigione avviene entro i primi 5 giorni dalla presentazione del certificato medico.
Repubblica – 3 gennaio 2014