C’è il vigile veronese che si è dato malato pur di non perdersi le partite del suo amato Hellas contro Roma e Juventus, e ci sono i dipendenti della sede regionale di Rovigo accusati di timbrare il cartellino appena in tempo per poter andare al bar o a fare la spesa al mercato. E poi ci sono gli otto dipendenti dell’Usl di Verona pizzicati da Striscia la Notizia a spasso durante l’orario di lavoro.
E le decine di insegnanti segnalati per «comportamenti inadeguati», chi per aver maltrattato gli studenti e chi per essersi intascato i soldi della scuola. In tutto sono centinaia, gli assenteisti. E ognuno, lo sanno bene i giudici, fa storia a sé. Ma c’è una costante, nella stragrande maggioranza dei casi: nessuno sembra riuscire a scalzare questi «furbetti» dal loro ufficio. Quasi sempre se la cavano con un richiamo o con quelle che, in termini tecnici, si chiamano «sanzioni minori».
Negli stessi giorni in cui al cinema Checco Zalone racconta quanto sia incredibilmente difficile togliere il «posto fisso» a un dipendente pubblico, il governo annuncia un giro di vite contro gli assenteisti: chi sarà sorpreso in flagranza di illeciti disciplinari – ha annunciato il ministro Marianna Madia – sarà sospeso dal lavoro e dalla retribuzione nell’arco di 48 ore. La nuova norma finirà nei prossimi decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione.
«Già oggi è possibile licenziare – precisa la deputata Pd Alessia Rotta – però a complicare le azioni disciplinari ci pensano l’incertezza su chi sia competente a irrogare la sanzione, la farraginosità del procedimento che spesso conduce a vizi formali e la scarsa responsabilizzazione dei dirigenti». L’ex ministro Renato Brunetta, che con i suoi tornelli aveva dichiarato guerra ai fannulloni, ha ragione quando dice che le norme già esistono. «Ma evidentemente non funzionano», prosegue Rotta. «Noi dobbiamo renderle più efficaci: vogliamo certezza dei tempi e semplicità del procedimento. E dobbiamo agire sulla responsabilità del dirigente: se non adotta tempestivamente un procedimento disciplinare, anche lui deve essere punito».
Stando ai dati diffusi nel 2015 dalla Corte d’Appello di Venezia, le controversie di lavoro in materia di pubblico impiego sono in aumento al punto che in Veneto coinvolgono all’incirca duemila persone. Una goccia, rispetto ai 230mila dipendenti pubblici della nostra regione che non sono mai finiti ai ferri corti con i propri superiori, ma pur sempre un esercito di impiegati pronti a difendere la posizione (e, a volte, i propri privilegi) davanti a un giudice.
I numeri forniti ieri al Corriere del Veneto dal ministero della Funzione Pubblica, svelano che il settore più esposto a sanzioni è quello dell’Istruzione. Durante lo scorso anno scolastico sono stati adottati trentasei provvedimenti di sospensione e cinque licenziamenti. Un solo dipendente sospeso (per assenze ingiustificate) all’Università mentre Usl e aziende ospedaliere contano 27 provvedimenti di sospensione e quattro licenziamenti.
Nei tre principali settori controllati dallo Stato (scuole, Università e ospedali) erano stati avviati complessivamente 342 procedimenti disciplinari. E questo significa che solo il 2,6% si è concluso con il licenziamento del lavoratore. Le cifre, negli enti locali, pare non siano molto diverse.
Un esempio: a Rovigo ci sono 36 impiegati sotto processo per truffa. Avrebbero «rubato» ore di lavoro, timbrando il cartellino nella sede distaccata della Regione Veneto per poi andarsene a spasso. In ufficio ci tornavano con le borse della spesa, spesso nei giorni di mercato. «Continuano a lavorare – spiega uno dei loro avvocati, Palmiro Tosini – ed è giusto così: la presunzione di innocenza ci dice che, fino a prova contraria, si sono comportati onestamente. Una sospensione preventiva del dipendente sarebbe ingiusta. Basti pensare che inizialmente i dipendenti di Rovigo indagati erano addirittura 115 ma per gran parte di loro le accuse sono state archiviate prima ancora di arrivare a processo».
All’Usl 20 di Verona otto dipendenti erano finiti nei guai per essere andati al bar. Il direttore generale li aveva sanzionati con una multa ma il giudice del lavoro ha accolto il ricorso presentato da due di loro, costringendo l’azienda sanitaria a restituire (con gli interessi) le somme trattenute dallo stipendio. E anche l’inchiesta avviata dalla procura si è chiusa con un nulla di fatto. «La normativa è interpretabile – ammette Giuseppina Bonavina, che all’epoca guidava l’Usl – ma occorre distinguere la gravità dei diversi comportamenti: un conto è timbrare al posto di un collega, ben diverso è assentarsi pochi minuti per bere un caffè».
Sono rimasti al loro posto anche i sette dipendenti della Comunità montana della Lessinia accusati di assenteismo, nonostante abbiano patteggiato davanti al giudice. E lo stesso sta capitando ai due dipendenti della cancelleria della procura di Padova finiti sotto inchiesta dopo essere stati pizzicati con centinaia di ore di assenza «ingiustificata» dall’ufficio. Gli esempi di questo tipo sono centinaia.
È andata male, invece, a una professoressa che insegnava nella scuola media di Barbarano Vicentino: licenziata in tronco dall’Ufficio scolastico regionale. Ma in questo caso la dipendente era indifendibile: i carabinieri l’avevano filmata mentre prendeva a calci e schiaffi uno studente autistico.
Il licenziamento dei furbetti va facilitato, dunque? I sindacati sono d’accordo. «I lavoratori infedeli vanno puniti quando siano palesi ed evidenti le violazioni» commentano Cgil, Cisl e Uil. «Ogni governo presenta una riforma della pubblica amministrazione – commenta Marj Pallaro, segretario regionale della Cisl Fp – ma prima di fare nuove leggi andrebbero abrogate le vecchie per non creare confusione». Fa eco D’Emanuele Scarparo (Uil Fpl): «Giusto perseguire chi sgarra ma va anche rispettato il diritto alla difesa. Ed è fondamentale responsabilizzare anche il dirigente che non controlla i sottoposti». Daniele Giordano, segretario di Fp Cgil Veneto contrattacca: «Il Governo non parla mai di premiare chi lavora. La maggior parte dei dipendenti pubblici che si impegna onestamente è umiliata dal mancato rinnovo del contratto da sette anni».
Il Corriere del Veneto – 19 gennaio 2016