di Andrea Bassi e Luca Cifoni. Tetto alle retribuzioni per tutti i dipendenti pubblici. Sta prendendo forma l’articolo del decreto legge di domani destinato a limitare i compensi dei dirigenti: ma l’ultima versione messa a punto si caratterizza come una vera e propria stangata, che colpirebbe anche le categorie finora al riparo (come la magistratura e gli organi costituzionali) e comunque imporrebbe una soglia massima, fissata a 60 mila euro, allo stipendio delle generalità dei dipendenti pubblici: non solo i dirigenti quindi. La novità scatterebbe alla data di entrata in vigore del provvedimento, quindi verosimilmente già con gli stipendi di maggio. Il riferimento base, già annunciato più volte nelle scorse settimane, è quello della retribuzione del presidente della Repubblica, che come ricordato ieri dallo stesso Quirinale ha un importo lordo di circa 240 mila euro.
Questo sarà il limite massimo, da applicare nella pubblica amministrazione ai dirigenti di prima fascia che hanno un incarico di capo dipartimento. Ma la maggior parte dei manager si dovrà fermare più in basso. È previsto infatti che l’importo del tetto sia ridotto rispettivamente del 30, del 60 e del 75 per cento, per gli altri dirigenti di prima fascia, per quelli di seconda fascia e per il restante personale. Le tre categorie si troverebbero quindi a non poter andare oltre i 168 mila, i 96 mila e ed i 60 mila euro: questa ultima cifra sarebbe quindi la prima soglia a scattare, per chi non ha un contratto di dirigente.
CLAUSOLA ANTI-FURBI
C’è anche una clausola pensata per evitare che la stretta sia aggirata: il rispetto dei limiti dovrà essere valutato in riferimento a tutte le somme percepite dagli interessati a qualunque titolo, comprese quelle erogate da enti diversi o quelle ottenute quali corrispettivo di incarichi occasionali. C’è poi un limite specifico nel caso di aspettative o incarichi fuori ruolo: in questi casi indennità o rimborsi spese non potranno superare il 25 per cento del trattamento economico complessivo. L’unica eccezione sembra essere quella relativa ai contratti d’opera per prestazioni artistiche (nel caso della Rai) laddove c’è l’esigenza di competere con i concorrenti sul mercato.
Ma la portata dell’intervento emerge oltre che dai tetti numerici dalla sua estensione. Praticamente si salvano dal limite massimo fissato a 240 mila euro solo i manager delle società quotate: quelli degli enti pubblici e delle società partecipate in tutto o in parte dallo Stato o da altre amministrazioni, comprese quelle che emettono obbligazioni quotate come Poste e Ferrovie ricadranno invece nella tagliola. E lo stesso varrà per i componenti i consigli di amministrazione.
PERIMETRO ALLARGATO
C’è di più: con una mossa forse ardita il governo tenta di estendere il nuovo regime anche ad una serie di realtà finora escluse. In primo luogo gli organismi costituzionali, Camera, Senato, presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, che godono di autonomia anche in termini di bilancio. Ora questi organismi e la Banca d’Italia (la cui indipendenza deriva invece dall’appartenenza alla Bce ed al sistema europeo delle banche centrali) dovranno applicare le stesse regole nei propri ordinamenti, garantendo comunque una riduzione delle spese complessive di almeno il 5 per cento rispetto al 2013: c’è quindi un po’ di flessibilità sulle modalità, ma comunque viene imposto il tetto a 240 mila euro e viene anche fisssato un obiettivo di risparmio.
Percorso simile è previsto per la magistratura, altra categoria che in passato ha fatto valere la propria autonomia anche sul piano economico e di bilancio. Toccherà al Csm indicare le modalità concrete di applicazione della stretta, fermo restando il tetto massimo al livello del presidente della Repubblica e l’obbligo di ottenere una riduzione della spesa dell’ordine del 5 per cento. Allo stesso modo il tetto massimo vale anche per il personale convenzionato con il servizio nazionale, sul quale sarà operata una riduzione dello stipendio del 5 per cento nel caso superi il livello fissato per i dirigenti di seconda fascia, ossia 96 mila euro.
Il Messaggero – 17 aprile 2014