L’ultima rilevazione, qualche giorno fa, l’ha fatta l’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione e per la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, quella dove è stato appena nominato il magistrato anti-camorra Raffaele Cantone. Nella sua relazione sulle «performance» delle amministrazioni centrali ha osservato come praticamente il 90 per cento dei dirigenti pubblici incassi ogni anno il 100 per cento dei premi di risultato. Gli alti burocrati della macchina statale, insomma, non perdono un colpo. Certo, secondo l’Anac molto dipende anche dagli obiettivi che devono raggiungere, che non sono proprio delle vette da scalare. Come per esempio l’obiettivo che si è dato il ministero della Difesa di risparmiare in un anno più dello zero per cento dei consumi elettrici. Ma la musica sta per cambiare.
Una delle soluzioni sul tavolo del governo per ridurre il costo della dirigenza sarebbe quella di erogare i premi di risultato solo dopo un’attenta verifica da parte di un organismo esterno.
Per esempio la Corte dei Conti, e non solo con un’autocertificazione. Comunque sia, si starebbe valutando la possibilità di bloccare per il 2014 l’erogazione per tutti i dirigenti dei premi di risultato in attesa di una riforma organica. Se il governo dovesse orientarsi in questo senso, potrebbe ottenere anche una più che discreta dote finanziaria da destinare al taglio dell’Irpef. Il costo totale dei dirigenti statali, come ha rivelato il sottosegretario Angelo Rughetti alla trasmissione televisiva «L’Aria che tira», sarebbe di circa 28 miliardi l’anno, e la parte variabile dello stipendio incide per il 10-15 per cento. In un colpo solo, insomma, si potrebbero recuperare 2,8 miliardi.
LE ALTRE MISURE
Non è l’unica novità che sarà contenuta nel pacchetto di riforma della dirigenza pubblica. Ci sarà anche altro. Come il ruolo unico senza più distinzione tra prima e seconda fascia, nessun limite agli esterni, e contratti triennali per i nuovi arrivati. Diventa insomma, sempre più chiaro l’impianto della riforma della dirigenza pubblica, capitolo fondamentale del più generale riassetto della pubblica amministrazione che dovrebbe diventare operativa ai primi di maggio. Alcune novità sono potenzialmente dirompenti. L’istituzione di un ruolo unico, operazione che era già stata tentata in passato, cancellerebbe di fatto l’attuale suddivisione in prima e seconda fascia: vorrebbe dire di fatto che qualunque dirigente, sulla carta potrebbe assumere ad esempio la guida di un Dipartimento.
Ovviamente però questo non capiterà a tutti e dunque una volta eliminate le differenze di status si useranno delle percentuali di riferimento: il 10% degli incarichi dovrebbero essere apicali, il 60 destinato a mansioni meno elevate e il 30% ad incarichi di ingresso, una sorta di gradino iniziale. Contemporaneamente potrebbe essere introdotta una differenziazione di altro tipo diverso, tra «manager» e «professional», ossia tra coloro che hanno la responsabilità di strutture risorse e chi svolge invece compiti più specialistici. Ancora più rivoluzionaria potrebbe risultare la cancellazione degli attuali limiti per l’immissione di esterni. Il decreto legislativo 165 del 2001 prevede un tetto del 10% per i dirigenti di prima fascia e dell’8 per la seconda. Rimosso ogni vincolo le amministrazioni almeno in via teorica potrebbero ricorrere al 100% agli esterni: di fatto questo vuol dire accompagnare molti degli attuali dirigenti alla mobilità, mentre per i nuovi arrivati la regola sarebbero contratti a tempo, su base triennale.
Dal punto di vista del governo questa impostazione dovrebbe servire a contrastare la presunta inamovibilità dei dirigenti, spesso lamentata dallo stesso Renzi. Chi non apprezza lo schema teme invece una subordinazione della dirigenza al potere politico, che potrebbe scegliere e rimuovere a proprio piacimento gli interlocutori tecnici. Il modello paventato è quello dei segretari comunali, che vengono scelti attingendo ad un apposito albo. E non è un caso che oltre allo stesso premier Renzi anche il sottosegretario alla presidenza Delrio, che sta seguendo questo come gli altri cruciali dossier, faccia riferimento nella sua azione alla propria esperienza di sindaco. (Il Messaggero – 28 marzo 2014)
Stipendi pubblici, tagli più alti a diplomatici e magistrati oppure stop al 50% dei «premi» per tutti
di Marco Rogari. Un taglio progressivo degli stipendi dei dirigenti pubblici superiori a 70-90mila euro lordi annui con ulteriori restrizioni differenziate a seconda dei comparti. A cominciare dal corpo diplomatico e dalla magistratura. E possibilmente includendo anche le Authority. In alternativa il taglio di una fetta consistente dei premi di risultato (almeno il 50%) in attesa di definire la nuova “pagella” dei burocrati di stato, intesa come sistema di valutazione, da rendere operativa dal prossimo anno. Sono le due opzioni sul tavolo del Governo per far scattare la stretta sulla dirigenza pubblica. La scelta sarà effettuata nelle prossime ore, anche perché dovrà essere collocata all’interno del piano di spending review con cui sarà coperto il decreto taglia-cuneo fiscale in arrivo tra la fine della prima settimana di aprile e l’inizio di quella successiva.
Nella spending più tagli a burocrati e costi della politica
La versione finale della spending non prevederà, rispetto alle proposte di partenza del commissario straordinario, Carlo Cottarelli, interventi sulle pensioni e sull’assistenza su cui l’esecutivo conta di agire con misure mirate ma senza toccare, ad esempio, le indennità di “accompagnamento”. Alla fine potrebbero, invece, risultare irrobustiti i capitoli dei tagli alla dirigenza pubblica e ai costi della politica. In quest’ultimo caso scatterà sicuramente l’allineamento degli stipendi dei consiglieri regionali a quello dei sindaci. Certa la nuova stretta sugli acquisti di beni e servizi, soprattutto a livello locale, che dovrà garantire quasi 1 miliardo quest’anno per arrivare complessivamente a quota 3 miliardi alla fine del 2015. Il tutto con il nodo difesa ancora da sciogliere soprattutto per quel che riguarda l’eventuale ridimensionamento del programma F 35.
Sulla dirigenza operazione in due tappe
Uno dei versanti più delicati resta quello del pubblico impiego. Una delle leve che saranno azionate sarà quella della mobilità obbligatoria anche tra comparti. Il Governo punta poi ad avviare una riforma della dirigenza che potrebbe essere realizzata con un intervento in due tappe: un provvedimento (da varare forse già la prossima settimana) per re-introdurre il ruolo unico per i dirigenti eliminando la distinzione tra prima e seconda fascia e trasformare a tempo gli incarichi; taglio vero e proprio delle retribuzioni da inserire nel decreto in arrivo per alleggerire l’Irpef sui lavoratori agendo su aumenti medi delle detrazioni di 80 euro al mese.
Il Sole 24 Ore – 28 marzo 2013