Vanno considerati anche i rapporti di lavoro che durano meno di 9 mesi. Si devono computare tutti i lavoratori utilizzati nel biennio precedente in misura proporzionale alla durata del rapporto
La legge comunitaria per il 2013 (la 97 del 6 agosto) cambia i criteri di calcolo dell’organico aziendale ai fini dell’applicazione delle norme dello Statuto dei lavoratori che garantiscono la fruizione dei diritti sindacali in azienda.
Secondo la nuova normativa (che si concretizza mediante la riscrittura dell’articolo 8 del Dlgs 368/2001), nell’organico aziendale, al fine di applicare la norme sui diritti sindacali, devono essere calcolati tutti i lavoratori a termine utilizzati nel biennio precedente, a prescindere dalla durata del rapporto, in misura proporzionale alla durata medesima e il calcolo deve essere svolto con cadenza mensile.
Il cambiamento rispetto alla vecchia formulazione è molto rilevante. Secondo la norma appena modificata, infatti, dovevano essere conteggiati nell’organico aziendale solo i lavoratori a tempo determinato assunti con un rapporto della durata superiore a 9 mesi. La riforma è stata approvata per bloccare la procedura comunitaria di infrazione 2010/2045, con la quale era stata ipotizzata l’incompleta attuazione della direttiva comunitaria 70/1999 sul lavoro a tempo determinato.
Con il nuovo criterio, viene meno l’esenzione per i rapporti brevi, e di conseguenza tutti i lavoratori concorrono alla formazione dell’organico rilevante ai fini dello Statuto, anche se in misura proporzionale alla durata del proprio rapporto. Così, per fare un esempio, un rapporto di lavoro della durata complessiva di 6 mesi nell’arco del biennio vale come un quarto di lavoratore a tempo pieno e indeterminato.
La legge comunitaria estende il nuovo criterio di calcolo anche alla definizione della soglia dei 50 lavoratori che determina l’insorgenza degli obblighi di informazione e consultazione sui luoghi lavoro, previsti e disciplinati dal Dlgs 25/2007.
Il nuovo criterio di computo entrerà in vigore in maniera graduale: in sede di prima applicazione, il nuovo sistema dovrà essere utilizzato solo a partire dal 31 dicembre 2013 e con riferimento al biennio precedente a tale data. Sino a questa data, quindi, non cambierà nulla, nel senso che l’organico continuerà a essere computato secondo il vecchio criterio dei 9 mesi.
È importante sottolineare che il criterio di computo dei lavoratori a termine appena riformato ha efficacia solo ai fini dell’attuazione dell’articolo 35 della legge 300/1970. Tale norma impone alle imprese industriali e commerciali con più di 15 dipendenti nella stessa unità produttiva o nello stesso comune, e alle imprese agricole con più di 5 dipendenti, l’attuazione delle diverse disposizioni dello Statuto dei lavoratori che regolano l’esercizio dei diritti sindacali sul luogo di lavoro (quali, ad esempio, quelle per la costituzione delle rappresentanze sindacali in azienda).
Solo per queste finalità deve applicarsi il nuovo criterio sopra descritto. Per le altre norme lavoristiche che fanno riferimento all’organico aziendale, continua ad applicarsi il criterio di matrice giurisprudenziale della “normale occupazione”.
Secondo tale criterio, sono computabili nell’organico aziendale quei lavoratori a termine inseriti nell’ordinario ciclo produttivo e quindi rientranti nell’organigramma aziendale, mentre non sono computabili i lavoratori il cui rapporto ha la finalità di sopperire a esigenze del tutto momentanee ed eccezionali, e quelli che sono adibiti a mansioni non rientranti nella normale attività dell’impresa.
La legge 97/2013 non si occupa solo di lavoro a termine, ma apporta anche alcuni piccoli cambiamenti alla disciplina sulle assunzioni pubbliche, contenuta nell’articolo 38 del Testo unico sul pubblico impiego. In particolare, la legge estende il diritto di accesso ai posti pubblici ai familiari dei cittadini Ue non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno, e ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria.
Il Sole 24 Ore – 22 agosto 2013