Una parità non proprio vantaggiosa, mentre le differenze di genere restano ancora tante. Dal 2018 le donne che lavorano nel settore privato andranno in pensione alla stessa età degli uomini: 66 anni e sette mesi. Un anno dopo rispetto a oggi, un record in Europa. Non è una sorpresa perché lo scatto era previsto dalla riforma Fornero, che nel 2011 ha alzato l’età della pensione per tutti fissando anche le tappe per la progressiva unificazione dei requisiti tra uomini e donne, già raggiunta due anni fa dai dipendenti della pubblica amministrazione. Ma il tema è caldo e i lavori sono in corso per provare ad ammorbidire anche questo colpo.
Finora il governo ha offerto uno sconto di due anni sui contributi necessari per accedere all’Ape social, l’anticipo pensionistico per le categorie da tutelare che consente di lasciare il lavoro tre anni e sette mesi prima del previsto senza vedersi ridurre l’assegno. Il calcolo è complicato perché dipendere dai singoli casi ma per le disoccupate, ad esempio, gli anni di contributi scenderebbero da 30 a 28. Ma per i sindacati, che oggi vedranno il ministro del Lavoro Giuliano Poletti proprio per discutere di previdenza, non basta. E infatti il governo sta studiando una mossa più forte: la possibilità di riconoscere, a certe condizioni, il lavoro di cura svolto dalle donne, per i figli o per i genitori disabili, facendolo valere ai fini della pensione con lo Stato che versa al posto loro i relativi contributi. La riflessione è in corso, l’esito ancora incerto. Ma se questa dovesse essere la scelta, ci sarebbero paletti stretti per evitare comportamenti opportunistici. Non basterebbe avere un figlio per avere un anno di contributi gratis, tanto per capirsi. Il bambino o l’anziano del quale la madre si prende cura, dovrebbe avere un’invalidità totale. La madre dovrebbe essere disoccupata in quel periodo, e quindi il meccanismo sarebbe sganciato dalla legge 104, sui permessi ai lavoratori per l’assistenza dei familiari. Quanto agli anni, o ai mesi, di contributi riconosciuti il discorso è ancora tutto da fare. Ma anche un riconoscimento limitato sarebbe una piccola rivoluzione.
Nel confronto di oggi sarà affrontata anche la questione dell’innalzamento dell’età della pensione, stavolta sia per gli uomini sia per le donne, che nel 2019 dovrebbe passare a 67 anni. Con le due ipotesi allo studio, al di là delle smentite ufficiali, di un aumento più morbido per tutti o di un blocco dello scatto per chi svolge le cosiddette attività gravose, come gli infermieri o le maestre della scuola materna. Mentre sembra ormai definito il pacchetto della pensione di base da 660 euro per i giovani che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 7 settembre 2017