Michela Nicolussi Moro. «Ma quanto ci vuole per farsi vedere da un oculista?», sbotta un paziente al Cup, che non riesce a fissargli un appuntamento entro la fine del mese. Ecco la risposta: con la ricetta e dietro pagamento del ticket nelle strutture pubbliche o convenzionate del Veneto bisogna pazientare 58,8 giorni. Ma se paghi la visita — 104 euro — dallo specialista ospedaliero in regime di intramoenia (libera professione) il tempo si abbatte di quattro volte a 12,9 giorni. Meglio ancora nel privato puro: 6,6 giorni e una tariffa addirittura minore: 90,7 euro. Lo stesso dicasi per una visita ortopedica: 26 giorni d’attesa nel pubblico; 7,7 in intramoenia con una spesa di 112,6 euro; 5,7 giorni nel privato, per un costo di 110,8 euro. E così è per tutte le undici prestazioni prese in esame dal Crea (Consorzio per la ricerca economica applicata in Sanità) nel report, commissionato dalla Fp Cgil, su Lombardia, Veneto, Lazio e Campania, rappresentative di 26 milioni di italiani, il 44% della popolazione.
Risultato: il privato vince due a zero sul pubblico, per tempi di attesa — che nel Sistema sanitario nazionale tra il 2014 e il 2017 sono aumentati in media di 20/26 giorni a prestazione — e costi. Quanto a quest’ultima voce, il privato è spesso più competitivo non solo rispetto all’intramoenia ma anche nei confronti del doppio ticket pubblico(fino a 36,15 euro per quello di base più i 10 euro a ricetta, che nella nostra regione diventano 5 per i redditi fino a 29mila euro). Il Veneto introita 200 milioni l’anno di ticket, 80 dei quali relativi alla tassa dei 10 euro. L’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) nel 2017 anticipava: «I veneti pagano i ticket più alti d’Italia: in media 36,2 euro all’anno, contro gli 8,7 euro versati da un siciliano e contro una media nazionale di 23 euro pro capite». Il ministero dell’Economia fissa invece a 47 euro pro capite la quota di compartecipazione media italiana alla spesa sanitaria e a 61,7 quella veneta. «I motivi sono tre — spiega la Regione — noi abbiamo il 50% di non esenti, i nostri cittadini consumano un maggior numero di prestazioni e altre Regioni hanno tolto i 10 euro a ricetta aumentando fino a 75 euro il ticket di base e così incentivando il ricorso al privato».
Ora la nuova inchiesta e la lettura di Federico Spandonaro, direttore del Crea: «La tempestività del Servizio sanitario nazionale sembra garantita solo per le prestazioni urgenti, mentre il resto degli accertamenti, la maggioranza, diventa una questione di soldi. Il fenomeno si aggrava negli anni, incrementando la distanza tra l’offerta pubblica e le aspettative dei cittadini». «Sono discriminati i pazienti che non possono pagarsi le visite — conviene Daniele Giordano, segretario regionale della Fp Cgil —. Denunciamo con forza anche l’enorme differenza dei tempi d’attesa tra attività istituzionale e intramoenia: per esempio un ecocardiogramma in libera professione viene garantito in 7,1 giorni, che diventano 103 in attività istituzionale. Rispetto alla media nazionale, poi, ci vogliono 9,4 giorni in più per una radiografia articolare, 25 in più per un’ecocardiografia e 53 in più per una coronarografia. Tante volte abbiamo chiesto alla Regione di monitorare l’attività istituzionale e ci siamo sentiti rispondere che i tempi sono normali». Gli ultimi dati di Palazzo Balbi parlano di 80 milioni di prestazioni specialistiche erogate ogni anno dal sistema pubblico: «Prendendo in esame i 4 milioni di accertamenti ambulatoriali traccianti, cioè i più richiesti, si evince che la quasi totalità delle prestazioni ambulatoriali complessive è erogata entro i tempi previsti. Cioè con un indice di soddisfazione tra il 96% e il 98%. I dati del Crea sono diversi perchè non considerano i codici di priorità, cioè l’erogazione dell’esame entro i 10, 30 o 90 giorni prescritti dal medico, limitandosi a tracciarne una media non reale».
«Storie — sbotta Giuseppe Cicciù, presidente del Tribunale del Malato — le liste d’attesa sono sempre più lunghe e restano il primo motivo di malcontento dei pazienti. L’unico modo per abbatterle è sospendere l’intramoenia fino al loro azzeramento, come in Emilia. L’ho scritto al governatore Luca Zaia due mesi fa, senza ottenere risposta». Eppure stando al Crea il Veneto conta il maggior numero di operatori sanitari pubblici: 13,6 per mille contro gli 11,7 della Lombardia. Per contro ha il minor quoziente di letti nei centri accreditati: 0,26 a fronte di una media italiana di 0,75, per una spesa pro capite di 286,94 euro, scesa del 5% dal 2015. «Il Veneto si conferma regione con un netto primato del pubblico», chiude il Crea. «E’ una contraddizione — obietta Giordano — il Sistema sanitario nazionale sta arretrando e rischia di soccombere alla concorrenza del privato, che tara la propria offerta su tempi e costi del pubblico».
Il Corriere del Veneto – 20 marzo 2018