L’Espresso pubblica una lettera che ben fotografa una percezione oggi diffusa nei confronti dei sindacati. Ve la proponiamo come elemento di riflessione. «Il sindacato, che nel diritto del lavoro è definito ente che rappresenta i lavoratori delle varie categorie produttive, è sparito dalla circolazione; più che ente è diventato una entità astratta, un fantasma dell’opera incompiuta. Una volta i telegiornali erano un continuo ripetere di “la Cgilcisleuil”, una specie di scioglilingua che annunciava iniziative prese dalle tre organizzazioni sindacali per chiamare a raccolta i lavoratori e chiedere al governo, alle aziende e alle controparti padronali, il diritto al lavoro o miglioramenti contrattuali. Le piazze si riempivano di lavoratori, disoccupati, cassintegrati, pensionati e rappresentanti di partiti politici
Che condividevano l’azione del sindacato, per ascoltare il comizio dei massimi dirigenti delle tre sigle sindacali che con la bava alla bocca e le braccia gesticolanti esigevano, pretendevano più diritti per la gente.
Tutto questo è scomparso e le figure di Luciano Lama, Pierre Carniti, Bruno Trentin, Sergio D’Antoni, Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani sono soltanto un lontano ricordo preferendo molti di essi, se ancora in vita, rifugiarsi all’interno di un partito, refugium peccatorum, luogo sicuro e tranquillo per concludere la propria esistenza ottenendo ulteriori benefici per sé e la propria famiglia. Stesso destino toccherà alla triade Camusso-Angeletti-Bonanni che insieme fanno una casa di riposo per anziani. Soltanto Maurizio Landini, quello del “faccio un esempio concreto”, la Fiat, da segni di vita e sofferenza.
Il sindacato è scomparso dalle fabbriche e dalle piazze, lo si vede soltanto nei confortevoli salotti televisivi, nei talk-show per esprimere concetti stanchi e superati. Certo, con un governo di larghe intese, con un Letta ed Alfano preoccupati più a difendere la loro poltrona che ad iniziative per la creazione di posti di lavoro, non è facile scrollarsi di dosso la muffa della mummificazione e rimboccarsi le maniche per smuovere le acque stagnanti. Mancano gli interlocutori, i progettisti e i programmatori. Tutti si nascondono dietro il bubbone della crisi mondiale e sul fatto che, se la crisi non passa, loro non possono farci niente. Ed allora che vadano tutti a casa, politici e sindacalisti, in attesa che la Crisi muoia di vecchiaia e riappaia il figliol prodigo Sviluppo che era sparito dopo l’ultimo boom economico degli anni settanta il cui padre nel frattempo lo aveva dilapidato giocando in borsa».
L’Espresso – 11 ottobre 2013