Sindaco, il 18 marzo l’Italia celebrerà la seconda giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia. Come si sta avvicinando la sua città a questo anniversario?
«Le notizie delle ultime ore dicono che non siamo del tutto liberi dal contagio e che i numeri stanno tornando a salire. La cautela che mille volte abbiamo raccomandato a noi stessi e ai nostri cittadini non va del tutto dismessa».
Cosa ci ha insegnato il Covid?
«La lezione più significativa, qui in Lombardia ma credo anche a livello nazionale, è che la medicina e la sanità non possono essere esercitate soltanto nella dimensione ospedaliera, anche quando quest’ultima raggiunge livelli di assoluta eccellenza. Ci sono alcuni nemici – penso ai virus, ma la stessa cosa vale anche per le malattie croniche o per i problemi degli anziani e delle persone non autosufficienti – che si affrontano in modo assai più efficace in una dimensione di prossimità e di domiciliarità».
La riforma sanitaria appena approvata in Lombardia va in questa direzione. Come la valuta?
«La riforma è una correzione di rotta rispetto alla legge precedente e va nella direzione giusta. Ma vedo anche dei rischi» .
Quali?
«Il rischio principale è che ci si concentri sulla dimensione immobiliare, e cioè si realizzino grazie alle risorse del Pnrr tante “Case di comunità”, ma che non sia altrettanto sviluppata la componente umana e professionale che deve riempire questi luoghi. Noi oggi abbiamo – ancor più che due anni fa – un deficit di personale medico impressionante. Penso soprattutto ai dottori di medicina generale. I concorsi vanno in parte deserti e i giovani messi a tappare i buchi dopo due mesi rinunciano all’incarico perché si ritrovano a fare un mestiere fatto di troppa burocrazia».
Su quello che è successo a Bergamo c’è un’inchiesta della procura per epidemia colposa e il suo Comune si è dichiarato persona offesa ed è pronto a costituirsi parte civile. Ma c’è anche una causa civile intentata da molti parenti delle vittime contro il governo e contro Regione Lombardia. Come mai moltissimi cittadini si sono sentiti abbandonati?
«Io sono molto solidale dal punto di vista umano rispetto alle ragioni di queste famiglie. Hanno subito ferite infinitamente dolorose, ma non mi sentirei di sostenere che i cittadini siano stati abbandonati. Le istituzioni hanno palesato dei limiti, poi si tratterà di capire se dietro questi limiti ci sono anche delle specifiche responsabilità».
Quali sono stati i limiti principali?
«Una sanità troppo sbilanciata sulla dimensione ospedaliera, un deficit di prevenzione legato al fatto che i piani pandemici negli ultimi anni non erano stati aggiornati e poi quella inevitabile impreparazione che tutti quanti abbiamo scontato, anche noi amministratori, davanti a una cosa che non ci aspettavamo e che ci era completamente sconosciuta. Poi sappiamo che alcune Regioni hanno lavorato meglio di altre dal punto di vista della capacità di procurare dispositivi di protezione individuale o di processare tamponi in grande quantità. Ma questo credo che debba essere oggetto di una valutazione politica».
I casi di positività stanno di nuovo aumentando. Dobbiamo rivedere i nostri piani di «ritorno alla normalità»?
«Penso che una ripresa di energia sul completamento della campagna vaccinale sia utile, e credo che sia opportuno posticipare il segnale del “via le mascherine” perché mi sembra che ce ne sia ancora bisogno. Da due anni c’è un’inquietudine che non ci abbandona e che si riacutizza periodicamente al risvegliarsi delle curve pandemiche, ma è anche vero che in queste ore abbiamo tutti quanti una preoccupazione più intensa che è quella che deriva dalla guerra».
Settimana scorsa ha fatto un tweet che collega in qualche modo la pandemia a quello che sta accadendo con la guerra in Ucraina. Ha scritto «Col senno di poi è inevitabile tornare alla missione russa in Italia della primavera 2020. Sono testimone dell’aiuto prestato a Bergamo dai medici del contingente, ma va ricordato che a Pratica di Mare arrivarono più generali che medici. Fu aiuto, propaganda o intelligence?». Che idea si è fatto?
«Non ho certezze ma oggi, che abbiamo di fronte il lato più sinistro del potere e dell’esercito russo, mi sono tornati in mente i dubbi sollevati allora da alcuni giornalisti. Non nego che i medici russi abbiano fatto la loro parte: 30 medici su una spedizione di 120 persone». —