Roberto Turno. L’Imu e l’Iva. Il cuneo fiscale e la Cig. Il “fare 2” e le dismissioni. Le riforme istituzionali e la cancellazione del porcellum. La delega fiscale e le semplificazioni. L’addio alle province e le misure appena varate per scuola e università. Il salva-precari e l’abolizione dei fondi pubblici ai partiti.
La legge di stabilità e il Patto per la salute col taglio (ma non solo) degli ospedaletti. Come dire: lo sviluppo e la ripresa da acchiappare per la coda, l’occupazione da salvaguardare, i conti pubblici da mettere in salvezza, la pubblica amministrazione da rimettere in sesto. Riforme promesse, riforme attese. Riforme che a questo punto rischiano però seriamente di saltare – al meglio di perdere altro preziosissimo tempo, creando un handicap in più – insieme al banco del Governo.
A oltre 180 giorni dall’insediamento del Parlamento e quattro mesi e mezzo dopo la nascita del «Letta 1», il risiko delle leggi già in marcia e di quelle attese nel primo autunno della XVII legislatura rischia di venire travolto dai venti di crisi che soffiano sempre più impetuosi sul Governo. L’affaire Berlusconi – comunque lo si rigiri – non è miscela esplosiva soltanto per il Pdl. Perché far saltare il banco, avrà effetti pericolosi per l’intera economia e per qualsiasi speranza di rilancio dell’azienda Italia con tutte quelle riforme che rischiano di restare ferme al palo e di lasciare inchiodate al passato le aspettative – benché minime – di fare un salto verso un Paese più moderno. Magari agganciato alla locomotiva di chi, quelle riforme, le ha da tempo.
Decreti legge già in campo (sono cinque), la ex Finanziaria da varare nei tempi previsti per evitare l’esercizo provvisorio, il decreto sviluppo bis in preparazione, le sorti della seconda rata Imu e della riforma dell’imposizione della casa, la decisione da prendere sull’aumento Iva dal 1 ottobre: il carnet di misure e di proposte in lavorazione tra palazzo Chigi e i ministeri è ricco e d’ora in ora è destinato ad arricchirsi. Se tutto regge, è chiaro. Per non dire delle patate bollenti che proprio in queste settimane il Parlamento dovrebbe affrontare, a cominciare dal Ddl di delega sul fisco, dalle riforme costituzionali dopo il secondo sì di ieri della Camera, dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti atteso al voto a giorni. E di quella riforma della legge elettorale senza la quale Giorgio Napolitano difficilmente rispedirà sbrigativamente gli italiani alle urne.
Il capitolo rilancio dell’economia è cruciale. In rampa di lancio c’è il decreto del fare 2, un mix di misure per l’industria e le Pmi che vanno dall’energia al credito all’internazionalizzazione. Potrebbe essere accorpato al Dl anche il piano “Destinazione Italia” per l’attrazione degli investimenti esteri, il cui piatto forte dovrebbe essere una sorta di patto di ferro con il Fisco con il quale le multinazionali pronte a investire sopra una certa soglia avranno un piano certo di tasse e adempimenti fiscali di lunga durata (almeno 5 anni). Ed è in questo stesso contesto che potrebbero vedere le dismissioni di asset pubblici preannunciate dal premier.
Ed ecco poi il nodo dell’occupazione. Oltre all’intervento allo studio per un primo taglio progressivo del cuneo fiscale, il pacchetto di interventi in materia di lavoro che rischiano il rinvio in caso di crisi di Governo riguardano gli ammortizzatori sociali e gli incentivi per i nuovi contratti flessibili da attivare in vista di Expo 2015. Sul primo fronte se verrebbe scongiurato comunque, con la legge di stabilità, l’ultimo rifinanziamento per la cassa integrazione in deroga 2013 (si parla di 4-500 milioni) si potrebbe perdere per strada l’avvio del fondo residuale per il finanziamento della Cig, dal 2014 in poi, per i soggetti ora coperti da Cig e mobilità in deroga. Per gli incentivi in vista di Expo 2015, invece, si fermerebbe il confronto con le parti sociali impegnate a individuare il contratto (da finanziare) con le nuove flessibilità. E un velo di incertezza scenderebbe anche sul percorso verso il piano Youth Guarantee, per l’occupazione giovanile che, sempre dal 2014, conterebbe su risorse Ue pari a 1,5 miliardi per finanziare le politiche attive previste. Un fallimento dopo l’altro.
IL Sole 24 Ore – 11 settembre 2013