Da mesi la Guardia di Finanza ha aperto un’inchiesta su due società controllate dal Ministero dell’Agricoltura: Sin e Agea. Dove la De Girolamo ha nominato, come commissario straordinario, un generale della Finanza indagato in uno stralcio dell’inchiesta P4: queste le rivelazioni dell’Espresso in un articolo di Emiliano Fittipaldi. Il destino di Nunzia De Girolamo è appeso a un filo. Al di là delle spiegazioni che il ministro dell’Agricoltura ha promesso di dare al Parlamento sulle pressioni fatte ai dirigenti dell’Asl di Benevento, sarà Enrico Letta – nei prossimi giorni – a decidere se Nunzia, ormai chiamata dai giornali Sua Sanità del Sannio – potrà ancora sedere sulla sua poltrona. In caso di rimpasto, infatti, il segretario del Pd Matteo Renzi ha chiesto sia la sua testa sia quella di Annamaria Cancellieri, il titolare della Giustizia finita nello scandalo delle telefonate con i Ligresti.
Nunzia, però, potrebbe essere la prima a saltare: la Cancellieri gode ancora della stima incondizionata del presidente della Repubblica, che non sembra altrettanto legato all’ex berlusconiana che ha decisi o di seguire Alfano nel Nuovo Centro Destra.
Oltre la vicenda campana, risulta a “L’Espresso” che la De Girolamo sia preoccupata anche da altre vicende. Legate direttamente alla gestione del suo ministero e di quella di due importanti società controllate: Agea, la società controllata dal dicastero delle Politiche agricole che ogni anno smista i 7 miliardi della Pac, i fondi europei destinati agli agricoltori italiani, e il Sin, l’azienda – controllata dalla stessa Agea – che gestisce il Sian, il sistema informativo usato da Stato e Regioni in materia agricola, forestale e agroalimentare. In pratica il cuore e il polmone del ministero, dove da anni regna il caos più totale.
Negli ultimi lustri l’alternarsi di ministri di destra e di sinistra ha portato a un ricambio di manager, presidenti, direttori generali e commissari straordinari, ma nessuno è riuscito a fermare il moltiplicarsi di sprechi e disfunzioni.
A “l’Espresso” risulta che i finanzieri del Nucleo speciale Spesa pubblica e frodi comunitarie, dopo aver scandagliato i bilanci di Agea (notizia di cui in passato ha dato conto “La Stampa”) hanno bussato qualche mese fa anche alla sede di Sin.
I magistrati della Procura di Roma vogliono vederci chiaro, e ora sono in molti a tremare.
Non solo politici e dirigenti pubblici, ma anche manager di importanti colossi privati. Sin è infatti controllata al 51 per cento da Agea ma il restante 49 per cento fa capo a un gruppo di imprese. Tra cui spiccano i giganti dell’informatica come Almaviva (la società guidata da Alberto Tripi, imprenditore che vanta eccellenti rapporti bipartisan), l’Ibm, Telespazio di Finmeccanica e Cooprogetti. Proprio Almaviva è la mandataria dell’Rti che nel 2007 vinse il mega appalto da 1,1 miliardi di euro, uno dei più grossi della pubblica amministrazione. Il bando prevedeva la cessione da parte di Agea di quasi metà delle quote di Sin srl e la fornitura, da parte dei nuovi soci, dei servizi informatici per la gestione del sistema agricolo nazionale fino al 2016. Un affare pazzesco: dal 2008 al 2012 i vincitori hanno già ricevuto – in media – oltre 80 milioni di euro l’anno. Eppure, accusano esposti e relazioni tecniche, i servizi forniti sarebbero da anni più che scadenti.
SPRECHI MILIONARI
Secondo un esposto spedito alla procura di Roma da Ernesto Carbone, oggi deputato renziano ma per anni membro del cda di Sin di cui è stato pure presidente e ad fino ad aprile 2013, nell’ultimo lustro i privati avrebbero «sfondato gli importi massimi contrattuali» per milioni di euro, avrebbero spinto per trasformare il Sin da srl a società per azioni in modo da diminuire «il controllo sulla società del socio pubblico Agea» e, soprattutto, sarebbero responsabili di «disservizi, inadempienze, ritardi e carenze che avrebbero provocato disagi e proteste» da parte degli utenti istituzionali del Sian.
Nel mirino di Carbone c’è l’intera infrastruttura tecnologica costata centinaia di milioni, il «malfunzionamento dei software per la presentazione delle domande di aiuto per la Pac» (servizio che serve ad oltre un milione di piccoli e grandi imprenditori del settore agricolo), ma anche il comportamento di alcuni dirigenti (il riferimento è al vecchio amministratore delegato Domenico Pecoraro) che avrebbero dato incarico a un’agenzia di investigatori privati (al costo di 1.200 euro, mai pagati) di fare un’indagine patrimoniale sul responsabile di una task force che «aveva consentito di risolvere errori e inefficienze del Rti Almaviva».
Non sappiamo se Carbone abbia ragione. Di certo nel 2010 il laboratorio Nestor dell’Università di Tor Vergata ha analizzato i servizi forniti da Sin, riscontrando che «il 95 per cento delle operazioni viene eseguito» da soli 7 dei 17 server comprati, e che le due macchine che si ripartiscono il 53 per cento del carico «risultano di essere di tecnologia risalente al 2006». Due mesi fa un’altra relazione tecnica redatta da una commissione esterna nominata da Carbone ha riscontrato gravi «incoerenze e anomalie» tra i vari database, che ancora oggi non parlano tra loro. Così può capitare che ad agricoltori vengano bonificati centinaia di migliaia di euro che non gli spettano, mentre creditori non vengono pagati quanto dovuto. Anomalie interessano pure il numero dei fabbricati e i sistemi di sicurezza. Le conclusioni dei rapporti sono simili: «Il sistema», chiosa l’Università di Tor Vergata, «è altamente inefficiente, instabile, imprevedibile», e – nonostante gli oltre 400 milioni fatturati dai privati dal 2008 al 2012 – di fatto dovrebbe essere rifatto daccapo.
Gli sprechi delle mangiatoie Sin e Agea non si contano. Carbone (al quale hanno contestato di aver speso troppi soldi per viaggi e cene) ricorda a “l’Espresso” di essersi tagliato lo stipendio, «passato da 460 mila a 60 mila euro l’anno», e di aver restituito due Audi da 50 mila euro. Poi attacca, prima ricordando che il passaggio di Sin da Srl a Spa ha comportato per un certo periodo il raddoppio secco dei compensi degli amministratori. Poi, denunciando i milioni spesi per il progetto “Telaer”, investiti da Agea per comprare due aerei Cesna che decollano quasi tutti i giorni per fotografare campi, colline e boschi, inviando poi le immagini al ministero. «Mi risulta però», afferma il deputato, «che il sistema Telaer al momento non sia utilizzabile, e che gli aeromobili giacciano all’aeroporto di Ciampino».
Le polemiche hanno investito anche Paolo Gulinelli, l’ex direttore generale di Sin considerato molto vicino a Gianni Alemanno. Il manager aveva fatto la guerra ad Rti Almaviva risparmiando (come spiega lui stesso) «circa 26,5 milioni di euro l’anno dal 2011 ad oggi». Attualmente va segnalato che Gulinelli è indagato dalla Procura di Roma per abuso d’ufficio e, da semplice dirigente, risulta guadagnare ancora 262 mila euro l’anno.
’O MARESCIALLO
Al marasma totale si è aggiunto un arbitrato di Almaviva, che ha chiesto ad Agea ben 20 milioni di euro di danni. Per sbrogliare la matassa, così, De Girolamo e il premier Letta hanno deciso di affidarsi a un uomo d’ordine. Un generale della Guardia di Finanza, Giovanni Mainolfi. «Dobbiamo superare un’opacità di cui Agea ha fama. La prima regola è la trasparenza, bisogna creare una “casa di vetro”. I problemi al Sin? Sono stati enfatizzati», ha annunciato Mainolfi, che in una recente audizione alla Camera ha dato la responsabilità dei cattivi rapporti tra soci pubblici e privati a Gulinelli, annunciando il suo licenziamento. Il militare sarà finalmente l’uomo giusto al posto giusto? Mainolfi ha un curriculum impeccabile ma, almeno a leggere alcuni interrogatori inediti dell’inchiesta sulla P3 spulciati da “l’Espresso”, è stato assai vicino sia ad Alfonso Papa che a Pasquale Lombardi, quest’ultimo considerato dai pm di Roma uno dei vertici (insieme al faccendiere Flavio Carboni e all’imprenditore Arcangelo Martino) dell’organizzazione segreta che avrebbe cercato di pilotare appalti, sentenze giudiziarie e effettuato dossieraggi contro avversari politici.
In alcune telefonate tra Lombardi e Martino intercettate nel 2009 se “Cesare” è il nomignolo usato per indicare Silvio Berlusconi e “vice-Cesare” quello affibbiato a Marcello Dell’Utri, ’o Maresciallo era lo pseudonimo usato per Mainolfi. Davanti ai magistrati romani Martino ha raccontato che «o’ maresciallo Giovanni», a quei tempi in servizio a Napoli come comandante provinciale, «si era rivolto al Lombardi per ottenere un trasferimento… Anche io mi dovevo operare con Dell’Utri per questo trasferimento… Per averlo il generale si era rivolto prevalentemente a Lombardi, perché erano amici da molti anni, perché abitano vicino».
L’imprenditore (oggi sotto processo) ha raccontato pure che il generale si sarebbe pesantemente speso per la candidatura di Gianni Lettieri, imprenditore del Pdl e amico del generale, a presidente della Regione Campania. «Aspirava a dargli una mano, elettoralmente credo, perché lui è un uomo molto stimato, molto conosciuto… Il “maresciallo” si muoveva molto per Lettieri, questo glielo posso assicurare, fino al punto, mi pare di non dire una bugia, alla cena a casa di Lettieri (dove era presente anche Dell’Utri, che comunicò agli astanti che tra Nicola Cosentino e Lettieri Berlusconi aveva scelto il terzo incomodo, cioè l’attuale governatore Stefano Caldoro, ndr.) c’era anche lui».
Per la cronaca, Mainolfi – che nell’ambito dell’inchiesta P3 non è mai stato indagato – è riuscito ad ottenere un nuovo incarico a Roma a pochi mesi di distanza dalle intercettazioni. Il neocommissario di Agea è finito nel registro degli indagati per un’altra vicenda, scaturita dall’inchiesta sulla P4.
Il pm Woodcock a ottobre dello scorso ha iscritto Mainolfi e altri ufficiali della Gdf con l’accusa di essersi adoperati per aver messo a disposizione di Alfonso Papa un’auto e due sottufficiali. I quali avrebbero per anni accompagnato il deputato, sua moglie e alcune amiche ovunque il pdiellino volesse. Woodcock ha richiesto l’archiviazione per il generale, che però non è stata accolta “de plano”, cioè in automatico: il gip ha fissato nuove udienze per decidere se archiviare, ordinare nuove indagini o fare un’imputazione coatta.
L’Espresso – 14 gennaio 2014