Simone Cosimi. L’obiettivo è monitorare in modo rapido ed esaustivo, quasi in tempo reale con tutti i relativi vantaggi di tipo medico per la collettività, i fenomeni e le tendenze che toccano la salute pubblica attraverso l’uso di fonti informali pescate online. Come open data, risorse giornalistiche e soprattutto interventi dei singoli cittadini sui social network, canali di comunicazione ormai onnipresenti nelle nostre vite quotidiane.
Piattaforme sulle quali, lo sanno bene Mark Zuckerberg e compagnia, riversiamo una quantità infinita di informazioni. Molte delle quali riguardano il nostro stato di salute.
Uno dei casi che hanno fatto scuola e continuano a stupire è quello di Health-Map. Un progetto lanciato nel 2006 da ricercatori, epidemiologi e sviluppatori del Children’s Hospital di Boston per tenere sotto controllo l’esplosione di patologie su scala epidemica e “avvistare” precocemente le minacce emergenti per la salute generale. Il 23 marzo scorso l’Organizzazione mondiale della sanità ha ufficialmente dichiarato la presenza di una epidemia di virus Ebola su vasta scala, partita dalla Guinea. HealthMap era arrivato quasi dieci giorni prima, il 14 dello stesso mese, individuando attraverso i dati raccolti in rete una “misteriosa febbre emorragica” in fase espansiva. Il sito è disponibile a tutti: chi lo desidera vi può accedere via pc o tramite l’applicazione per smartphone “Outbreaks Near Me”.
«I metodi tradizionali di raccolta dei dati dei pazienti sono lenti e costosi – racconta al sito Govtech, Ming-Hsiang Tsou, professore alla San Diego University e autore di studi sul collegamento fra tweet e influenza – di recente gli strumenti di sorveglianza si sono raffinati e i ricercatori possono sfruttare una grande mole di dati disponibile in tempo reale su Internet e, fattore non trascurabile, a costi irrisori».
La sfida è insomma velocizzare l’analisi dei sintomi e la loro interpretazione, pratica a volte ostacolata dagli attuali protocolli standard. Senza contare che spesso chi è colpito da una patologia non si rivolge subito al medico ma, almeno all’inizio, cerca rimedi su Google oppure condivide i suoi problemi di salute proprio sui social media. Sono tutti indicatori preziosi che possono contribuire a individuare fenomeni sanitari emergenti, se opportunamente raccolti ed analizzati.
Un altro esempio statunitense è Flu Near You, piattaforma per addetti ai lavori sviluppata da HealthMap insieme all’American Public Health Association in cui gli utenti inseriscono settimanalmente i propri sintomi. L’app li analizza e mappa i focolai. Stessa linea dell’italiana Influweb. L’influenza stagionale, che metterà a letto quattro milioni di persone solo nel Belpaese, è insomma uno dei banchi di prova più diffusi. Sempre da noi è stata da poco lanciata Fluoutlook, una piattaforma che prevede l’andamento del virus influenzale in Europa e Nord America. A realizzarla la Fondazione Isi di Torino insieme ai ricercatori della Northeastern University di Boston. Si basa su due tipi di modelli predittivi: le serie temporali e il cosiddetto Gleam, Global epidemic mobility model, che viene calibrato sull’analisi dei social network, in particolare i cinguettii pubblicati su Twitter che parlano di influenza. Un approccio già sperimentato con successo sempre dagli stessi istituti con la piattaforma Ebolatracking.
Ma i casi concreti, oltreoceano e non solo, sono ormai molti. Se a Chicago hanno sfruttato Twitter per monitorare le emergenze alimentari, a New York, grazie al social di recensioni Yelp, sono stati tracciati i ristoranti “a rischio” infezione. Certo, ci sono molti limiti – su tutti, il fatto che si tratta di contenuti grezzi, non moderati, spesso imprecisi – ma i grandi numeri, con gli opportuni correttivi statistici, consentono di superarli.
Repubblica – 3 febbraio 2015