Una «tassa» sui licenziamenti. Tra aziende e Inps è in corso un contenzioso non da poco. Le prime accusano l’Istituto di previdenza di aver interpretato in modo ampio la norma della recente riforma del lavoro che riguarda il finanziamento dell’Aspi, il nuovo sussidio di disoccupazione.
Secondo un’indagine della Fondazione studi dei consulenti, i lavoratori che nel corso del 2013 si stima possano perdere il posto di lavoro sono 643 mila: il 57,85% (372 mila lavoratori) a seguito di provvedimento di licenziamento per esaurimento degli ammortizzatori sociali già avviati negli anni scorsi; il 18,35% (118 mila) a causa di nuovi provvedimenti di licenziamento diretto; il 23,79% (153 mila) per risoluzioni consensuali e altre ipotesi che consentono il riconoscimento di Aspi.
In base all’interpretazione della legge fornita dai consulenti del lavoro, le aziende dovrebbero versare una quota solo se l’anzianità del dipendente è superiore a 12 mesi e per multipli di 12. In pratica, se un dipendente perde il lavoro dopo 11 mesi di anzianità il datore di lavoro non dovrebbe pagare nulla, se invece ha 36 mesi di permanenza l’azienda dovrebbe pagare tre quote. Secondo gli imprenditori, invece, l’Inps sottrae loro circa 225 milioni per effetto di una interpretazione forzata sul ticket di licenziamento varata con una recente circolare.
I calcoli dei consulenti indicano che parte dei lavoratori per i quali sarà dovuto il contributo di licenziamento, 372 mila su 643.000, hanno una anzianità media aziendale pari a 32 mesi. Per altri 118 mila l’anzianità aziendale media è di 21 mesi, il resto del campione ha un’anzianità aziendale di 10 mesi. Anche per questi ultimi lavoratori, per effetto della circolare Inps, le aziende saranno tenute a versare un contributo per il licenziamento pari a quasi 225 milioni di euro l’anno. L’Inps applica un calcolo pari all’effettiva anzianità di ciascun dipendente: il datore di lavoro paga 13 per chi ha 13 mesi di anzianità aziendale. Quindi, per fare un esempio, per i 372 mila lavoratori che perderanno il lavoro nel corso del 2013 con un’anzianità aziendale di 32 mesi, le aziende anziché versare un contributo di 967 euro dovranno pagare, in base alle istruzioni dell’Istituto, 1.290 euro ciascuno. L’Inps difende la posizione: «Posto che la circolare è stata ampiamente condivisa con il ministero del Lavoro, secondo noi l’interpretazione della legge è corretta anche dal punto di vista letterale. In ogni caso, avessimo interpretato la legge come vorrebbero le aziende, ci saremmo ritrovati con lavoratori che, ricevendo la lettera di licenziamento dopo 11 mesi e 29 giorni di anzianità aziendale, sarebbero rimasti senza alcun versamento Aspi. È evidente che si sarebbe trattato di un trattamento discriminante e per nulla equo per i lavoratori».
Isidoro Trovato – Corriere della Sera – 8 aprile 2013