L’ordinanza anti-ebola contagia i sindaci leghisti. Dopo Massimo Bitonci, che il 17 ottobre ha firmato il provvedimento che in tutto il territorio del Comune di Padova impone il divieto di dimora ai profughi senza certificato medico, altri amministratori si preparano a siglare direttive simili.
Il primo a seguire le orme dello sceriffo padovano è Gianluca Forcolin, ex deputato e primo cittadino di Musile di Piave, nel Veneziano. Lunedì pomeriggio porterà in giunta la «sua» ordinanza (in realtà quasi identica a quella di Bitonci) che prende di mira «tutti coloro che giungono sul territorio privi di documento di identità». Anche per loro, nel caso incappino nei controlli dalla polizia locale, ci sarà l’obbligo di sottoporsi «entro tre giorni» a un controllo medico da parte dell’Usl «allo scopo di verificarne le condizioni sanitarie, soprattutto in relazione dell’eventuale presenza di malattie infettive».
Nel mirino di Forcolin – come del resto capita a Padova – non c’è soltanto l’Ebola ma «ad esempio la Tbc, la scabbia e l’epatite». Niente multe per chi sgarra, ma la segnalazione alla prefettura, alla questura di Venezia e «ai competenti organi sanitari affinché questi procedano urgentemente con gli opportuni controlli medici».
Nei giorni scorsi il Comune ha inviato la bozza dell’ordinanza al direttore generale dell’Usl 10, Carlo Bramezza, chiedendogli un’opinione che per ora non è arrivata. Forcolin assicura di non aver alcun intento razzista. «Devo fare tutto ciò che è in mio potere per tutelare la salute dei cittadini dalle eventuali malattie contratte dai profughi che vengono inviati nel nostro territorio».
Musile non è l’unico Comune veneto a voler seguire la strada di Padova. I sindaci «bitonciani» sembrano intenzionati a promuovere una crociata contro il presunto «untore». Giuseppe Pan, di Cittadella: «Nessuno vuole creare allarmismo ma qualcosa bisogna pur fare. Per questo adotteremo anche noi un’ordinanza simile a quella del capoluogo. Affronteremo la questione già nei prossimi giorni».
Lo stesso si prepara a fare anche il primo cittadino di San Giorgio in Bosco, Renato Miatello: «Ne parlerò con la giunta ma per come la vedo è importante fare fronte comune per stroncare sul nascere ogni pericolo di contagio».
Intanto Padova ha dimostrato di voler fare sul serio, visto che tre giorni fa la polizia locale ha fermato un nigeriano all’interno di un negozio etnico di alimentari. L’uomo, privo di documenti, è stato portato al comando dove gli è stata notificata l’ordinanza che lo obbliga a sottoporsi ai controlli medici entro tre giorni.
Di fronte all’emergenza, ciascuno adotta le contromisure che ritiene più adeguate. Nei giorni scorsi l’Usl 20 di Verona ha inviato una circolare a tutti i medici di famiglia raccomandando, nel caso qualcuno si presenti con sintomi paragonabili a quelli dell’ebola (febbre alta, vomito e cefalea) di «effettuare il colloquio mantenendosi alla distanza di almeno un metro evitando di toccare il paziente»
Ben più rigida, la linea adottata nei confronti di don Antonio Senno, settantenne missionario che fino a ieri sera era «recluso» nella casa di alcuni parenti a Barbona, nel Padovano. Pur non avvertendo alcun sintomo di malessere, nei giorni scorsi il sacerdote si era visto notificare il divieto a uscire dall’abitazione. Il motivo? Tornato dalla Sierra Leone, paese martoriato dal virus, aveva ripreso a celebrare messa col rischio – sostengono – che contagiasse i parrocchiani.
Francesco Peotta, sindaco di Barbona, allarga le braccia: «Sono stato contattato dall’Usl di Este e ho dovuto emettere quell’ordinanza di confino in casa. Nessuno in Italia lo aveva controllato. Che fa il ministero? Alla fine, la responsabilità ricade su di noi».
Il telefono dell’abitazione in cui era confinato, ieri squillava a vuoto. «Sono arrabbiato – si era sfogato don Antonio – mi fanno sentire un lebbroso».
Andrea Priante e Marco de’ Francesco – Il Corriere del Veneto – 25 ottobre 2014