L’esercito americano contro l’epidemia di Ebola in Africa occidentale, che ha già ucciso più di duemila persone (2.097) su un totale di quasi quattromila casi. Il presidente Obama ha annunciato l’invio dei militari nei Paesi colpiti. Pur escludendo che l’epidemia, nella sua forma attuale, possa raggiungere gli Usa, il presidente americano ha avvertito che il virus potrebbe mutare e dunque diventare una minaccia per chi non vive in Africa.
«Vogliamo inviare mezzi militari per impostare le unità speciali di messa in quarantena e le attrezzature in loco, in modo da garantire la sicurezza per i lavoratori della sanità pubblica – ha detto Obama intervistato dal programma della Nbc “Meet the Press” -. Ci vorranno comunque mesi prima che questa epidemia sia messa sotto controllo in Africa».
«Se non facciamo questo sforzo ora, c’è la possibilità che il virus muti, divenendo più facilmente trasmissibile. E allora potrebbe essere un serio pericolo per gli Stati Uniti». Anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha sottolineato la necessità di un impegno comune contro Ebola: «L’obiettivo è quello di fermarne la diffusione nei Paesi colpiti entro sei-nove mesi, e prevenire la diffusione internazionale del virus. Tale risultato può essere raggiunto solo se vi è una mobilitazione urgente e necessaria sia nei Paesi colpiti che in tutta la comunità internazionale».
Allarme dell’Oms per la Liberia: «Ci aspettiamo migliaia di casi»
l’Organizzazione mondiale della sanità ha esortato le agenzie umanitarie a prepararsi alla nuova emergenza. L’epidemia di ebola si sta diffondendo in maniera esponenziale in Liberia, con migliaia di nuovi casi attesi nelle prossime tre settimane. È l’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha esortato le agenzie umanitarie a prepararsi ad aumentare gli sforzi di tre o quattro volte nel Paese africano e altrove. Gli interventi convenzionali di controllo messi in campo finora «non stanno avendo un impatto adeguato», ha sottolineato l’Oms, indicando nelle moto-taxi e nei taxi tradizionali «una fonte di potenziale trasmissione del virus». In Liberia, il virus ha già ucciso 1.089 persone su 1.871 casi. Intanto il presidente Usa Barack Obama ha annunciato l’invio dei militari nei Paesi colpiti.
Quarantena in Sierra Leone
In Sierra Leone, uno dei Paesi più colpiti insieme a Liberia e Guinea, è stata decisa una quarantena di quattro giorni, dal 18 al 21 settembre, in cui tutti gli abitanti dovranno restare in casa per impedire il diffondersi dei contagi. L’obiettivo è consentire agli operatori sanitari di identificare e isolare nuovi casi evitando che la malattia si diffonda ulteriormente, ha detto Ibrahim Ben Kargbo, che fa parte della task force anti-Ebola, sottolineando che «è necessario un approccio aggressivo». Negli ultimi giorni la Sierra Leone ha registrato quasi cinquecento morti e più di venti operatori sanitari sono deceduti dall’inizio dell’epidemia. Già alla fine di luglio il governo aveva proclamato lo «Stay at home day» per impedire la diffusione del virus. Invece in Nigeria, un altro dei Paesi colpiti anche se finora in modo più limitato (21 casi e 7 morti), è stata presa una decisione di segno opposto: dal 22 settembre riapriranno le scuole, che erano state chiuse per precauzione.
Caso sospetto a Gerusalemme
C’è poi un caso sospetto di Ebola in Israele: un’infermiera nigeriana in visita turistica è stata messa in quarantena nell’ospedale Shaare Zedek di Gerusalemme. Secondo un portavoce del Ministero della Salute israeliano, «la probabilità che la donna abbia contratto il virus Ebola è bassa». L’infermiera era in Israele da una settimana quando ha mostrato i sintomi della malattia. Per quel che riguarda l’Europa, secondo l’European center for Disease Control (Ecdc) la possibilità che il virus Ebola entri nel continente attraverso gli sbarchi nel Mediterraneo è «remota», mentre il punto di ingresso più probabile, anche se il rischio rimane molto basso, sono gli aeroporti. «Le persone infette possono arrivare in Ue attraverso voli diretti o indiretti – scrive l’agenzia -. Una remota possibilità è una catena di trasmissione lungo le rotte usate dai migranti clandestini che raggiungono la sponda sud del Mediterraneo e tentano di arrivare in Europa via mare». «Il rischio che Ebola arrivi in Ue – ha ricordato il direttore dell’Ecdc Marc Sprenger – può essere eliminato solo fermando i contagi in Africa». Finora l’Oms non ha emanato alcuna raccomandazione sugli spostamenti di merci o persone, criticando anzi le compagnie aeree che hanno interrotto i collegamenti verso l’area colpita.
Migliora il medico americano
Intanto migliorano leggermente, ma restano gravi, le condizioni di Rick Sacra, il medico statunitense infettato in Liberia, rimpatriato venerdì e ricoverato ad Omaha, in Nebraska. Lo ha annunciato la moglie, che è riuscita ad avere un breve colloquio in video con l’uomo, che al momento non ha ancora ricevuto alcun trattamento sperimentale. «Rick è molto malato e molto debole – ha affermato la donna – ma sta un po’ meglio da quando è arrivato. È riuscito a mangiare un po’ di brodo di pollo». A differenza dei due volontari statunitensi guariti poche settimane fa (Kent Brantly e Nancy Writebol), Sacra non riceverà il siero sperimentale Zmapp, perché le scorte sono esaurite. «I medici – spiega il sito – stanno ancora valutando diverse opzioni, tra cui l’uso di sangue da persone guarite». La terapia di supporto, cui si sono limitati finora i medici che assistono Sacra, consiste nella somministrazione di farmaci contro nausea e vomito e di antidolorifici, nell’idratazione e nel controllo della pressione sanguigna del paziente fino ad arrivare all’uso di respiratori.
Oms: usare il sangue dei guariti
La possibilità di curare i malati di Ebola usando il sangue di chi è guarito, e che quindi ha in circolo gli anticorpi contro il virus, è stata approvata anche dall’Organizzazione mondiale della sanità. Lo ha detto la direttrice generale aggiunta, Marie Paule Kieny, al termine di una riunione di oltre 200 esperti a Ginevra. La terapia con plasma o sangue di persone guarite o convalescenti, ha spiegato Kieny, potrebbe essere utilizzata da subito, mentre i risultati dei test di sicurezza su due potenziali vaccini, condotti in Mali, dovrebbero arrivare entro novembre. In caso positivo, hanno sottolineato gli esperti Oms, le prime immunizzazioni potrebbero essere fatte sul personale sanitario pochi mesi dopo. «Per i farmaci ci sono tante prospettive promettenti – conferma Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto Spallanzani di Roma e fra i partecipanti alla riunione a Ginevra -, ma niente per oggi. Il siero di convalescente è stato utilizzato già nel 1995 per un’epidemia di Ebola a Kikwit, nella Repubblica Democratica del Congo, con buoni risultati». A richiedere l’utilizzo del sangue dei guariti erano stati anche diversi ricercatori mondiali, tra cui Peter Piot, uno degli scopritori del virus Ebola. L’Oms ha comunque ammonito che non si deve riporre troppa speranza nelle terapie e che non si deve distogliere l’attenzione dalla lotta tradizionale al virus, fatta di prevenzione, contenimento dei casi, sorveglianza dei potenziali malati e comunicazione efficace dei rischi. Pratiche difficili da implementare nei paesi colpiti, ha ricordato il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon, che ha ricordato come siano necessari 600 milioni di dollari e una mobilitazione internazionale contro l’epidemia, e che le prossime settimane saranno cruciali. La Commissione Ue ha annunciato uno stanziamento di 140 milioni di euro.
Vaccino italiano: nuovi dati di efficacia
Infine ci sono nuovi dati sull’efficacia del vaccino sviluppato nei laboratori dell’Irbm Science Park di Pomezia, vicino Roma, finora testato sulle scimmie. È frutto del lavoro di un team internazionale di ricercatori italiani e americani e si è mostrato in grado di proteggere per almeno 10 mesi i macachi dal ceppo Zaire del virus (quello responsabile dell’attuale epidemia). I dettagli della ricerca sono spiegati sulla rivista Nature medicine. Questa protezione immunitaria di lunga durata è stata indotta nei macachi usando un vaccino basato sul ChAd3, un adenovirus (che negli uomini causa raffreddori e congiuntiviti) derivato dagli scimpanzè. Questo è l’approccio che si è rivelato più efficace, spiega lo studio, e già con una singola dose di vaccino Chad3 si offre una protezione completa nel breve periodo, e parziale per il lungo periodo. È il primo regime vaccinale ad offrire protezione dal virus per 10 mesi pieni dalla sua somministrazione. L’inizio della prima fase di sperimentazione sull’uomo è già stato annunciato e questo è uno dei due vaccini su cui l’Organizzazione mondiale della sanità ripone più speranze al momento per combattere l’epidemia di Ebola.
Corriere.it – 9 settembre 2014