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Efsa deve rivedere norme su indipendenza da industria? L’Ombudsman europeo condanna Efsa a vigilare maggiormente su conflitti di interesse

L’Ombudsman europeo condanna Efsa a vigilare maggiormente su conflitti di interesse –anche indiretti- tra propri ricercatori e industria. I progetti finanziati dall’industria alle università presso cui sono assunti i ricercatori vanno sempre dichiarati.

Non si può presumere a priori che l’affiliazione ad una università sia in quanto tale segno di indipendenza scientifica: queste le conclusioni dell’Ombudsman europeo. Che accusa Efsa: i panelist devono illustrare legami che l’ateneo di appartenenza sia realmente terzo rispetto all’industria. E non solo sulla carta.

Un numero sempre maggiore di università infatti, riceve finanziamenti da privati e industria per linee di ricerca specifiche. Di conseguenza, l’università come ente autonomo è un qualcosa che va scomparendo, soprattutto in quei settori a maggiore intensità della ricerca.

Il caso

La questione specifica nasce da un ricercatore del gruppo OGM, Michael Bonsall, che non avrebbe dichiarato i finanziamenti versati dalla propria università di appartenenza su ricerche nel campo delle biotecnologie, alla Oxytec, società dedita alla produzione e commercializzazione di insetti GM ad uso agronomico.

L’accusa, sollevata inizialmente da Genewatch, ONG inglese, è stata poi supportata dalle autorità europee (in particolare dal difensore civico, o Ombudsman, Emily O’Reilly), e riguarderebbe addirittura 14 persone del panel OGM.

Efsa aveva dichiarato che non è tenuta a investigare in profondità tutte le relazioni e connessioni e che le università sono per loro natura considerate enti terzi rispetto agli interessi commerciali.

Ma la realtà è che sempre più spesso le università sviluppano relazioni forti con l’industria, anche a scopo commerciale. Un dato di fatto, di cui bisogna cominciare a tenere conto. Con un profilo aggiornato delle dichiarazioni di interessi da parte dei ricercatori.

La Francia

Intanto Reseau Environment Santè, una ONG francese, nei giorni scorsi aveva chiesto a gran voce che i governi europei “liberassero” Efsa e la riformassero, dopo l’opinione scientifica che riaffermava la sicurezza del Bisfenolo A. Stando alle accuse di RES, l’Autorità europea avrebbe evitato di considerare molti studi –quasi 1000- che sottolineavano gli effetti tossici del BPA anche a dosi decisamente più basse di quelle riaffermate come sicure.

Negli ultimi anni Efsa ha fatto enormi passi in avanti in termini di indipendenza e trasparenza.

La revisione esterna della KPMG aveva sostanzialmente promosso l’Authority, all’avanguardia tra gli enti scientifici internazionali, fornendole semmai ulteriori raccomandazioni. Lo scorso luglio 2014 poi era stata rivista la policy sul Conflitto di Interessi, resa ancora più stringente rispetto al passato. Le consulenze infatti venivano a tutti gli effetti considerate come “impiego” vero e proprio. Solo in caso di consulenze sporadiche e occasionali queste potevano essere considerate a parte.

Inoltre le organizzazioni pubbliche, da cui dovrebbero provenire i ricercatori di Efsa, sono solo quelle finanziate per almeno il 50% da denari pubblici.

E ora, la doccia fredda segnala in realtà un cambio di lessico e tassonomia: le università non vanno più considerate aprioristicamente enti terzi. Semmai sarà necessario valutare di volta in volta il loro profilo.

Sicurezza alimentare Coldiretti – 12 febbraio 2015 

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