Il capo dell’equipe medica non può avvalersi del principio di affidamento per discolparsi da errori avvenuti in corsia. Lo sancisce la Cassazione in una sentenza della Quarta sezione penale, nella quale ha stabilito che il professionista non può neanche appellarsi alla medicina dell’evidenza per avere uno sconto di pena.
In questo modo, la Quarta sezione penale, con la sentenza 48226, ha convalidato una condanna per lesioni colpose nei confronti di un medico chirurgo specialista in ginecologia, capo dell’equipe medica che, in una clinica di Erice, avrebbe dovuto eseguire un intervento di asportazione dell’ovaio destro a una paziente, che per errore si vide asportare il sinistro.
Per questo episodio di malasanità è stata convalidata anche la condanna per lesioni (1 mese) nei confronti di uno specialista in chirurgia presso la casa di cura Villa dei Gerani a Erice e di una sanitaria addetta alla formazione della cartella clinica, condannata pure per falsità (due mesi) per avere alterato la cartella clinica. Gli imputati erano stati anche condannati a risarcire i danni alla paziente costituitasi parte civile imponendo una provvisionale di 40mila euro. Inutile il ricorso in Cassazione del capo dell’equipe medica come pure quello dell’infermiera contro la decisione della Corte d’appello di Palermo del giugno 2011.
In particolare, il capo dell’equipe sosteneva a sua discolpa che non avrebbe potuto non fidarsi dell’attività svolta dai medici che in precedenza si erano occupati del caso. Piazza Cavour ha bocciato la tesi difensiva e ha sottolineato che “nessun principio di affidamento può invocare a propria discolpa il medico il quale, in spregio alla regola minima di prudenza e diligenza, aveva proceduto all’asportazione chirurgica sulla base di una mera annotazione cartacea, pur proveniente dal medico addetto all’accettazione, senza fare luogo all’agevole, rapido e sicuro riscontro ecografico”.
Bocciata anche la tesi che faceva leva sul principio della medicina dell’evidenza. La Cassazione in proposito spiega che “la visione endoscopica, in casi del genere, non risulta risolutiva, poiché non in grado di evidenziare quale fosse l’ovaio malato da estirpare”. Più in generale, la Suprema Corte spiega che “deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell’intervento, il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all’operazione senza avere prima proceduto al riscontro della stessa”. Nessun dubbio, infine, per la Cassazione sulla contestazione fatta alla dottoressa in relazione al reato di falso.
ItaliaOggi – 14 dicembre 2012