Debolezza storica. Programmazione troppo lenta. Sono in molti a sostenere che il vero ministro delle Infrastrutture sia stato, in questo ultimo scorcio di legislatura, il ministro della Coesione territoriale, Fabrizio Barca, che ha fatto pesanti riprogrammazioni per spostare le risorse dei fondi europei da opere frammentarie regionali ad alcune grandi infrastrutture strategiche nazionali come la ferrovia Napoli-Bari.
In assenza di un quadro chiaro di regole (fiscali e procedurali) per i privati che vogliono investire in infrastrutture e sul territorio e con un intervento statale comunque frenato dai vincoli di bilancio, questo spostamento di competenze si ripeterà anche nella prossima legislatura, almeno per metà del Paese. Per questo è importante che l’Italia abbia difeso a Bruxelles, nella partita sul bilancio 2014-2020, il tesoro dei fondi europei per la coesione, addirittura aumentati da 28,4 a 28,6 miliardi, quando gli altri Paesi hanno dovuto ridimensionare la propria quota. Ma il discorso è pericolosamente a doppio taglio perché il rischio vero è quello di unire due storiche debolezze italiche, la lentezza nella realizzazione delle infrastrutture e la lentezza nella spesa dei fondi comunitari. L’inversione di tendenza impressa da Barca nel 2012, quando la quota spesa dei fondi è passata dal 22 al 37 per cento, è un buon segno ma, al netto dei meccanismi contabili concordati con Bruxelles (riduzione del cofinanziamento nazionale e riduzione dell’ammontare complessivo programmato), c’è ancora molta strada da fare. I numeri in valore assoluto in questi casi spiegano molto meglio: nei 14 mesi che vanno dal i novembre 2011 al 31
dicembre 2012 la spesa pubblica certificata è stata pari a 9,3 miliardi mentre nei 14 mesi che andavano dal 1 novembre 2010 al 31 dicembre 2011 la spesa pubblica certificata era stata pari a 8,2 miliardi. Il risveglio c’è stato, dunque. Ma non è affatto sufficiente per centrare gli obiettivi su questo periodo di programmazione 2007-2013: bisogna spendere ancora 31 miliardi dal 1 gennaio 2013 al 31 ottobre 2015. Né basta per partire bene nella programmazione 2014-2020, quando i fondi saranno di fatto la benzina per la principale (se non unica) politica pubblica per le infrastrutture in Italia. A quel punto sommare le due lentezze, delle infrastrutture e dei fondi Ue, significherà bloccare il Paese, quando la scelta giusta è individuare subito un numero limitato di grandi infrastrutture e «piani città». Le linee-guida scritte da Barca per la programmazione 2014-2020 vanno nella giusta direzione. Ma ora non è più il tempo di scherzare o di perdere tempo. Per questo due altri elementi sono strettamente necessari: il primo è la continuità di questa politica con il prossimo Governo. Il silenzio delle forze politiche in termini di proposte concrete è impressionante. Su questa linea si potrebbe essere tutti d’accordo (tranne la Lega), perché non far emergere questo elemento bipartisan? Il secondo elemento è che l’impegno venga anche dai Governatori, che si sono impegnati nell’ultimo scorcio ad accelerare, ma non sembrano avere chiara la posta in palio della infrastrutturazione del Paese a livello nazionale. Favorire un accordo anche sul titolo quinto, che segni un più netto confine fra competenze statali e regionali, aiuterebbe molto, anche per velocizzare gli investimenti.
PAROLA CHIAVE
Fondi strutturali
Accanto alla voce agricoltura, quella dei fondi strutturali – ideati per finanziare progetti di sviluppo nelle zone più arretrate della Ue per ridurre gli squilibri sul fronte della crescita, la competitività e l’occupazione – è una di quelle voci che hanno tenuto meglio le posizioni restando più o meno invariati. Una concessione ai Paesi dell’Est come la Polonia ma anche a quelle dei Paesi mediterranei e Irlanda colpiti dalla crisi del debito sovrano. L’Italia è riuscita a mantenere i quasi 29 miliardi assegnati alle prospettive finanziarie 2007-2013 mentre Spagna e Grecia hanno perso circa un terzo delle allocazioni
Sole 24 Ore – 11 febbraio 2013